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Infranto il sogno del boss Vetrinetta

Infranto il sogno del boss Vetrinetta

«Nella famiglia nostra non hanno trovato né pentiti, né niente...». Con vanto il boss deceduto Pantaleone Mancuso (alias Vetrinetta) lo ribadiva nell’ottobre del 2011. Sette anni dopo per la potente cosca di Limbadi qualcosa è cambiata. A segnare una svolta epocale – per la famiglia di ’ndrangheta nota per le “defezioni zero” – la decisione di Emanuele Mancuso, 30 anni, figlio del boss Pantaleone Mancuso (detto l’Ingegnere) nipote di “Vetrinetta”, di collaborare con la Dda. Una decisione che viene trattata con le molle anche perché ancora in una fase embrionale.

Un “salto” che, comunque, ha destato scalpore e scompiglio le cui ragioni, al momento, non sono note ma che potrebbero andare oltre i dissidi esistenti all’interno della cosca, ciclicamente attraversata da frizioni tra le varie articolazioni. Conflittualità che sono sempre esistite – le varie indagini le hanno portate a galla (Dinasty, Black money e Purgatorio soprattutto) – per poi però evolversi e modificarsi nel tempo e lasciare il passo all’effetto unitario proveniente dai rapporti di parentela.

Al momento possono farsi soltanto ipotesi, ma non è da escludere che Emanuele Mancuso sia arrivato a prendere questa decisione perché forse temeva d’essere messo all’angolo. Dal carattere ribelle avrebbe operato in piena autonomia sul territorio di Nicotera e così facendo avrebbe potuto creare qualche “incidente di percorso” ai parenti in particolar modo all’ala riconducibile agli “zii vecchi” (tutti appartenenti alla generazione degli 11). In pratica Emanuele Mancuso avrebbe potuto plasticamente rappresentare le conflittualità esistenti con il “ramo” dei Panti , ovvero della parte della famiglia riconducibile al boss Giuseppe Mancuso (alias Peppe ’Mbrogghia) il quale con Luigi Mancuso (‘54) vengono considerati i capi storici della cosca.

Rispetto ai primi anni duemila (allora a rendere uno spaccato della complessa galassia dei Mancuso fu l’operazione Dinasty) inchieste successive hanno riproposto assetti interni diversi perché se all’epoca a fare le veci del fratello Peppe (ancora oggi in carcere) era Diego Mancuso (detto Addeco o Mazzola) diversi anni dopo a capo dell’articolazione veniva indicato l’Ingegnere, ovvero il padre di Emanuele Mancuso. E ferma restando la composizione del clan riconducibile alla “generazione degli 11” – il boss Michele Cosmo Mancuso (alias Cannuni) avrebbe gestito gli affari e i rapporti con la supervisione dei fratelli più anziani anche in considerazione del fatto che Luigi all’epoca era detenuto – qualche “novità” veniva registrata nell’ala dei Bandera (cugini dei Panti) inizialmente vicini al gruppo di Cannuni. Da quanto emerso dalle inchieste Black money e Purgatorio, infatti, «garanti mafiosi sul territorio di Nicotera» venivano indicati l’Ingegnere (per la parte alta) e Pantaleone Mancuso (detto Scarpuni o ‘U Biondu) per la zona di Nicotera Marina. E fra i due cugini vi sarebbe stato un ravvicinamento che, all’epoca, avrebbe creato dissapori con lo zio Pantaleone (alias Vetrinetta) il quale non avrebbe lesinato critiche nei confronti dei nipoti. Emblematico il contenuto di un’intercettazione tra il boss (in seguito defunto) e la sorella Romana (a sua volta bersaglio nel 2008 con il figlio Giovanni Rizzo di un tentato omicidio per il quale fu indagato il nipote Ingegnere e il figlio Giuseppe, detto ‘U Zip). Diceva il boss: «Adesso sono così... 00, 00,01 i Panti... con Scarpuni sono così» e la sorella: «Si sono uniti, si sono uniti!». Al che il boss confermava: «Sì si sono uniti tutti quanti» e la donna proseguiva: «Si sono uniti... come se... come diceva la mamma?». Al che il boss ribadiva: «Tutti... tutti i lordazzi si sono uniti!... Pure Scarpuni» e la sorella concludeva: «Amari pecuri, amari crapi».

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