Ci sono almeno tre buoni motivi per la vittoria in un derby che ha trasformato Catanzaro in una città di nottambuli. Era difficile prendere sonno e non pensare alle due ore del “Ceravolo”. Ai gol di Iemmello e Biasci. Alla prova da maestri – sotto tutti gli aspetti, anche caratteriale – dei giallorossi. La cosa più bella, però, sono stati i volti felici di tutti i protagonisti nei selfie sotto la “Capraro”, come quelli scattati dopo i tanti successi dell’anno scorso. Da un gruppo che è insieme da due anni, e che in queste stagioni è entrato in simbiosi con i tifosi, l’ennesima dimostrazione di attaccamento alla maglia e al club. Anche Vivarini, in genere molto più parco nei sorrisi, ne aveva uno forse più grande di quello – largo – stampato sul volto al termine della gara-promozione di Salerno. Sapeva di averla combinata grossa, perché nel 2-0 al Cosenza c’è ovviamente molto di suo. Nella strategia, nella tattica, nell’atteggiamento, il tecnico abruzzese ha dominato il duello con il collega e si è fatto il regalo più importante per il compleanno sulla panchina giallorossa: giovedì 30 spegnerà due candeline.
Per prendersi il derby Vivarini ha cambiato alcune cose, altre ha lasciato che venissero fuori sempre uguali a sé stesse. La prima variazione è stata la scelta di fare palleggiare di più gli avversari, un inedito. In questo campionato solo una volta prima di domenica il Catanzaro aveva avuto meno possesso palla: nel 3-0 contro lo Spezia con un dato definitivo (in base alle elaborazioni di Wyscout) comunque più o meno in equilibrio, 47,5% per Iemmello e compagni, 52,5% per i liguri.
Contro il Cosenza i giallorossi si sono limitati a tenerlo per il 43%. Direttamente collegata a questa strategia è stata la volontà di aspettare con un baricentro più basso, altra novità rilevante rispetto al passato recente. Ripensando ai quattro gol subiti dal Modena e dal Venezia, tutti con la difesa alta e sugli sviluppi da palloni persi a metà campo o sulla trequarti avversaria.
Il Catanzaro ha evidentemente imparato la lezione e non si è esposto alle transizioni altrui: non succederà sempre di giocare così, ma in certe partite (come quella col Cosenza) può rivelarsi una mossa intelligente ed è un’ottima notizia che, da Brighenti in su, abbiano dimostrato di saperlo fare. Non a caso i rossoblù la profondità l’hanno trovata di rado, né è un caso che le uniche due conclusioni pericolose dentro l’area di casa siano state prodotte da calci da fermo, l’angolo (palo esterno di Tutino) e punizione di Calò (colpo di testa alto di D’Orazio). Per Fulignati è stata la quinta gara con la porta immacolata in campionato, come il cosentino Micai, Gagno del Modena, Chichizola del Parma, Lezzerini del Brescia e Pigliacelli del Palermo: non c’è chi ha fatto meglio.
Non tutto, però, è cambiato. Il Catanzaro ha attaccato puntando meno sul palleggio, più sulle transizioni. Su questo piano si sono rivisti gli schemi e i corridoi di sempre. Come ha detto Biasci, l’azione del primo gol gli ha ricordato quella della prima rete al Crotone al “Ceravolo”: il 28 si è accentrato risalendo il campo, ha aperto sulla destra e da lì l’affondo ha portato al cross in mezzo capitalizzato da Iemmello.
Apertura e chiusura affidate alle stesse persone, le differenze stanno nell’uomo che ha consegnato l’assist (Katseris invece di Vandeputte), nella posizione di partenza di Biasci (più alto e verso destra) e in quella di finalizzazione del marcatore, stavolta sul secondo palo e non sul primo.
Insomma, una traccia conosciuta a memoria come quelle calibrate nelle numerose transizioni – potenzialmente letali – che i giallorossi hanno sfruttato nella ripresa, dopo il 2-0, sempre in velocità e con uno, massimo due tocchi: un pizzico di stanchezza in meno (e quindi pure di lucidità in più) avrebbero permesso di arrotondare ulteriormente il punteggio.
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