Non è successo niente perché niente è cambiato in classifica. Anche se il Palermo si è ripreso il quinto posto e la Cremonese ha allontanato in modo forse definitivo il secondo, quello dell’inconfessato sogno della promozione diretta, il Catanzaro è sempre comodamente seduto nella sua poltrona playoff. Anzi, sembra un paradosso, ma è più salda di prima: 11 punti di vantaggio su chi sgomita per entrare in zona spareggi a nove giornate dal termine danno sicurezze multiple. La battuta d’arresto con la Reggiana potrebbe essere derubricata già ora come un semplice incidente di percorso, non c’è bisogno di aspettare le controprove successive. Gli emiliani sono stati l’avversario più scorbutico che il Catanzaro abbia incontrato in campionato per il poco che hanno fatto e concesso, a fronte di quanto ottenuto, nell’arco di 180 minuti. Più dell’Ascoli o del Como all’andata, che avevano creato problemi con l’aggressione alta, la Reggiana ha scelto la via contraria, cioè un baricentro bassissimo e un blocco compatto nella propria area: in questo modo ha depotenziato tutti i punti di forza delle Aquile (fraseggio e triangolazioni rapide, verticalizzazioni, gioco fra le linee) ed evitato anche il pericolo che venisse bucato un eventuale pressing alto (aspetto nel quale i giallorossi sono tornati a eccellere). Per questo Iemmello non è mai riuscito a trovare lo spazio per inserirsi alle spalle dei difensori ospiti, né ha avuto quel metro di libertà che gli aveva permesso di stendere il Cittadella o il Cosenza perché veniva subito raddoppiato (è stato evidente in particolare nel primo tempo, quando stava provando ad accentrarsi come in occasione del meraviglioso sinistro a giro di Cittadella); Ambrosino è stato fatto prigioniero e, di fatto, tagliato fuori dalla manovra; a D’Andrea è stata lasciata solo una piccola corsia verso l’interno, giusto un paio di volte e con visuale della porta ostruita da un muro di calciatori; a Vandeputte è stata negata la profondità, stessa sorte per Situm, seguito come un’ombra pure nelle rare discese in cui si è accentrato per inserirsi da mezzala. Nesta potrebbe scrivere una tesi di laurea su come battere le squadre di Vivarini. L’unica cosa in più che avrebbe forse potuto fare il tecnico abruzzese sarebbe stata tentare prima la carta Donnarumma, che nel finale ha aumentato la presenza in area. Di sicuro sarebbe servito un attaccante forte fisicamente e nel gioco aereo, cioè quel profilo che il club ha cercato a lungo e invano nel mercato di gennaio: «Quando trovi un avversario arroccato nella sua area tu giri, vai da un lato, vai dall’altro, poi crossi in mezzo, lui respinge, tu rigiochi, è chiaro ci volesse una stoccata vincente e qualità diverse», ha ammesso Vivarini. Va anche aggiunto che la Reggiana avesse molto più bisogno di una vittoria. I tre pienoni consecutivi dei giallorossi completati dalla ciliegina del derby in trasferta, hanno inconsciamente levato un po’ di furore, altrimenti non sarebbe stata consentita la facilità di sviluppo dell’azione da cui è nato il gol decisivo. Quella mollezza gli emiliani non l’hanno mai avuta per il semplice motivo che non potevano permettersela. Sabato le Aquile potranno cercare di stupire di nuovo. A Brescia sarà durissima, ma almeno le prossime quattro o cinque sfidanti non si difenderanno come gli emiliani.