Nicolò Brighenti trasmette sicurezza e senso di appartenenza. Non solo per ciò che dà in campo: bravura, professionalità, serietà lo definiscono come calciatore. Ma anche per come vive tutto il contesto esterno alla carriera in una regione che l’ha conquistato: «Nel fine settimana sono stato in Sila, a Lorica, con mia moglie e i miei figli. Sono abituato ai monti e nasco sciatore, però devo dire che qui non è male, la situazione era molto piacevole», dice il difensore veneto 35enne, vicino alle 100 presenze in giallorosso (ora sono 93). «Ormai mi sento un po’ catanzarese e sono contento della fiducia della società, che ha scelto di rinnovarmi il contratto. Qui stiamo bene, i bambini crescono, sono parte integrante e ogni giorno vedo e provo cose belle nella vita di una famiglia. Quanto ai nostri sostenitori, in ogni trasferta tutti restano a bocca aperta, noi siamo abituati bene perché ci sembra normale, ma non lo è. Questo ci dà anche grandi responsabilità». Tutto meritato. A inizio stagione ci credevi? «L’idea di poterlo fare c’era considerando i valori del gruppo. Ero anche consapevole delle difficoltà che potevamo trovare dopo la chiusura di un ciclo, ma non sono completamente sorpreso. Pure personalmente ci credevo perché far bene, quest’anno come nel prossimo, è il mio obiettivo. Nel calcio, comunque, si riparte sempre da zero e quanto fatto fino a oggi non conta nulla». In quale gara avete svoltato? «Bari è stata uno snodo importante, ma fatico a trovarne una in particolare: il nostro campionato è cresciuto in sordina, fra tutti quei pareggi e la vittoria che non arrivava. Vuol dire che siamo sempre stati lì, poi l’ultimo mese ha dato valore e peso ai pari che non digerivi. In B la continuità paga». Cos’è cambiato rispetto allo scorso torneo? «Un po’ il modo di giocare e la fase offensiva. A volte siamo un 3-5-2 più puro con Pietro (Iemmello, ndr) che si abbassa, il centrale che si alza, noi braccetti che ci sganciamo e abbiamo una libertà che mi piace». Al tuo opposto c’è Bonini, ti aspettavi questo impatto da uno alla prima vera annata in B? «Facile dirlo adesso, ma già nella prima settimana di ritiro mi aveva fatto un’impressione enorme, si vedeva che era pronto. Magari così sta andando anche oltre le mie previsioni, però l’impatto l’ha avuto subito. Poi è un mancino, ha caratteristiche non banali. Sono contento per lui, gli auguro di chiudere ancora meglio e aprire situazioni importanti per la carriera». L’avversario che ti ha impressionato? «Non è che non me l’aspettassi, ma Pio Esposito, al di là del gran gol segnato contro di noi, penso diventerà un giocatore molto importante. Ha l’atteggiamento giusto, le qualità tecniche: è un attaccante completo, moderno». Ve lo ritroverete davanti domenica… «L’andata è stata equilibrata, decisa da un episodio e noi siamo stati molto più brillanti di loro nel secondo tempo, però per solidità e forza fisica lo Spezia mi è piaciuto». Il più grande rammarico? «Il derby pareggiato è dispiaciuto a tutti, più della sconfitta allo scadere con la Cremonese». Perché il 23 sulla maglia? «Michael Jordan è da sempre fonte di ispirazione, ma è pure un po’ casuale: lo presi a Frosinone dove era uno dei pochi rimasti. Portafortuna? Non ci credo, ormai è abitudine, non sono scaramantico, altrimenti per quanto ne ho passate non avrei più numeri da prendere o riti da seguire». Qual è la tua forza? «Sono più consapevole, da giovane mi mettevo da solo più pressioni, ora sono molto sereno perché non soffro più il giudizio di tutto ciò che gira intorno al calcio. Io faccio il massimo e cercherò di chiudere qui la mia carriera, cercare di essere all’altezza dei compagni più giovani è una sfida che mi piace». Dove potete arrivare? «L’obiettivo primario era salvarsi, mai scontato in B, e più o meno siamo ben avviati. Poi, come l’anno scorso, è normale non porsi limiti anche con un pizzico di spensieratezza, a patto di rimanere con i piedi per terra e lavorare. I playoff di B li ho vinti e li ho persi, lì può succedere di tutto perché si azzera tutto. Ancora però è presto».