Come leoni in gabbia, smaniosi di marcare il territorio, di ristabilire il dominio in zone del Vibonese considerate loro. Un day-after per i Soriano di Filandari, il “giorno dopo” l’operazione Ragno, che nel 2011 colpì pesantemente la cosca di ’ndrangheta di Pizzinni anche se in seguito per il Tribunale di Vibo cosca di ’ndrangheta non era da considerarsi (sentenza poi ribaltata in appello).
E una volta “liberi” i leoni sarebbero subito passati ai fatti per fare terra bruciata, per ridiventare “signori” di una sorta di valle di Nemea (nell’antica Argolide) dove viveva, Nemeo, il leone invulnerabile. Ma la mitologia greca è una cosa, la realtà un’altra. Perché sebbene l’operazione sia stata definita “Nemea” di invincibile non c’è nessuno, neppure il leone, ovvero l’uomo ritenuto a capo del clan di Pizzinni di Filandari che di nome fa, appunto, Leone e di cognome Soriano.
Scarcerato per fine pena lo scorso settembre il 52enne non avrebbe perso tempo a ricompattare le fila e a colpire, quasi in modo chirurgico, gli obiettivi prefissati, avvalendosi anche della “santa alleanza” con Emanuele Mancuso, 30 anni di Nicotera, figlio di Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere. Un’avanzata arrogante e spavalda – 10 intimidazioni a colpi d’arma da fuoco, bombe e incendi nell’arco di neppure quattro mesi tra Filandari e Jonadi – nella cui pianificazione sarebbero state considerate “priorità” un’attentato esplosivo alla Caserma dei carabinieri di Filandari; pressare e piegare l’imprenditore Antonino Castagna e liberarsi di qualche presenza ritenuta scomoda come quella del boss di Zungri Giuseppe Antonio Accorinti trasferitosi nella zona per motivi legati alla misura di prevenzione.
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