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Vibo, intitolata ad Antonio Montinaro la palazzina della scuola di polizia

Dall'ultimo "pezzo" rimasto di Scuola al Sud, il capo della Polizia Franco Gabrielli ha dato speranze per il futuro di un'istituzione, qual è appunto la Scuola allievi agenti di Vibo Valentia il destino della quale sembrava già segnato. Ma il taglio a quanto pare non riguarderà Vibo e del caso Gabrielli ne ha parlato direttamente anche con il nuovo ministro.

Comunque sia e comunque vada - ma il capo della Polizia ha più volte sottolineato la necessità di avere più Scuole nel momento storico che il Paese sta attraversando - nel complesso di formazione di Vibo ieri si è dato ufficialmente l'avvio al corso di memoria e legalità tracciato dal questore Andrea Grassi. Un percorso che è anche un messaggio. Profondo, immediato. A dare corpo alle parole non dette, infatti, è stato il cortometraggio "Negli occhi di Antonio" (soggetto e sceneggiatura del questore Andrea Grassi) che ripercorre e ricostruisce i momenti drammatici della strage di Capaci e che, attraverso un bambino (figlio di un poliziotto) dà voce alla speranza.

Alla presenza delle massime autorità, civili, militari e religiose e dei Prefetti delle cinque province calabresi, nonché dei 216 allievi del 202esimo corso, Gabrielli e Tina Montinaro, moglie di Antonio Montinaro il capo scorta del giudice Falcone ucciso nel '92 a Capaci - hanno scoperto la targa che intitola la palazzina "studi e corsi" ad Antonio il quale la stessa Scuola aveva frequentarto tra l'81 e l'82. Un momento di grande commozione preceduto dalle parole del direttore della Scuola, Stefano Dodaro, del questore di Vibo Grassi i quali hanno poi fatto spazio alle parole di Tina Montinaro e di Franco Gabrielli. Entrambi hanno posto l'accento sul sacrificio di Antonio e degli altri uomini della scorta, "uomini credibili2 che hanno avuto paura nella loro vita ma "non sono stati vigliacchi". Riferendosi a quanto accaduto il 23 maggio del 1992 Tina Montinaro (presidente dell'associazione "Quarto Savona Quindici") ha ribadito: "Se i mafiosi hanno pensato di aver vinto loro e beh si sono sbagliati di grosso, perché se Antonio non può più andare avanti la moglie e i figli sì. Loro pensavano la finiamo qui, ma per noi quel 23 maggio è stato l'inizio di un percorso che non è finito, perché la Quarto Savona Quindici (l'auto su cui la scorta del giudice viaggiava) continua a camminare. La teca che contiene ciò che è rimasto non si ferma". La stessa, poi ha estortato i giovani allievi a essere orgogliosi di essere poliziotti. "Dovete camminare nel fango - ha detto - ma senza sporcarvi perché altrimenti non sarete il nostro orgoglio ma la nostra vergogna".

Parole riprese dal prefetto Gabrielli il quale ha sottolineato il significato di indossare la divisa della polizia, i compiti e le responsabilità che a ciascun agente spettano, ribadendo un fondamerntale concetto: "Il vero deficit di questo Paese o, almeno, quello che più preoccupa è la distanza che pesa tra istituzioni e comunità. Istituzioni spesso non credibili ed è proprio la credibilità che va salvata e salvaguardata". Rifacendosi poi alle parole del giudice Rosario Livatino il capo della Polizia ha aggiunto: "Il giudice Livatino, sebbene fervente credente, ebbe modo di dire: nel giorno in cui moriamo non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili. Io non so - ha concluso Gabrielli - se Antonio Montinaro fosse credente. Di certo so che è stato credibile".

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