Ci sono spazi urbani in cui ogni giorno, sotto gli occhi di tutti e in orario diurno, si registrano prestazioni sessuali. Dietro il lavoro più antico del mondo, però, c’è di più: una rete criminale gerarchicamente organizzata. Uno di questi luoghi è il parcheggio della stazione ferroviaria a Sant’Eufemia Lamezia, dove la locomotiva in mostra diventa scenario di drammi nascosti e mai raccontati. Perché la reazione comune da parte dei cittadini è sempre la stessa. Si colpevolizza la prostituta e si tollera il cliente. Grazie al lavoro svolto dall'unità di strada - ricostruisce il reportage pubblicato oggi dalla Gazzetta del Sud in edicola -, all'interno del progetto “Incipit” di cui la Regione Calabria è capofila insieme ad altri enti composti da esperti, dal 2014 è possibile avere una mappatura precisa: nel 2017 sappiamo che l'unità di strada copre un percorso di circa 50 chilometri lungo la Statale 18 partendo da Lamezia, passando da Campora San Giovanni e Pizzo, nonché nell'entroterra verso Catanzaro per altri 10/15 chilometri da località Palazzo, Due Mari/Centro commerciale, Stadio Carlei fino a Marcellinara. Sono 9 le donne romene, bulgare, nigeriane lungo la locomotiva di Sant'Eufemia; 9 bulgare e nigeriane a località Palazzo; 9 bulgare e nigeriane ad Acconia; 6 nigeriane e romene nei pressi dello stadio Carlei, 7 fra bulgare e nigeriane a Marcellinara. Abbiamo incontrato Lorena Leone, referente del progetto per la cooperativa sociale “Il Delta” e Luisa Serratore, referente per lo sportello drop-in di “Mago Merlino”, con le quali ha inizio la prima tappa del racconto sulle «vittime di tratta», ovvero le donne che partono dal proprio paese d’origine, sfuggendo da violenze e schiavitù, fame e politica repressiva, per raggiungere l’Europa, l’Italia, e anche Lamezia in cerca di felicità: donne a cui sono negati i diritti umani, a cui è violata la dignità, costrette a estinguere un debito infinito (i soldi del viaggio) e per questo vendute e rivendute come merce di scarto. «Solo quando toccano davvero il fondo, quando non ce la fanno più si ribellano – dice Luisa Serratore – altrimenti non è facile registrare un’emersione vera e propria sulla strada». Il più delle volte, oltre a gruppetti di due o tre donne nel parcheggio di Sant’Eufemia, c’è in lontananza un uomo anziano con sguardo sospetto. Non è facile uscirne per vari motivi, e questo potrebbe ritornare utile a svestire la società da morali. Sono donne assoggettate al giuramento del rito “juju”; sono controllate dalle maman, donne a cui è capitata la stessa sorte e che entrano nel giro del traffico umano, infine vengono massacrate di botte. «Giura che ti impegnerai a non tradire mai la maman e restituirai il debito lavorando (cioè la prostituzione), pena la tua morte o quella dei tuoi familiari, oppure diventerai pazza. A volte il rito viene fatto proprio in Italia e non nel paese d’origine», racconta Lorena Leone a proposito del rito. Ma oltre a questo le vittime sono costrette a pagare 200 euro per mantenersi quel pezzetto di strada o una stanza. «La scelta, sempre più in aumento, ricade sulle minorenni, 15, 16 anni – aggiunge Luisa Serratore – le predilette dai clienti, e chiaramente anche le più protette. Ogni volta che si esce si contattano circa 20 persone, l’attività è quella della prevenzione del danno, si fornisce un caffè, un condom, si fanno due chiacchiere, da lì si crea un rapporto di fiducia e di successivi colloqui». Dallo scorso aprile è attivo, con buoni risultati, lo sportello drop-in a seguito del quale «si sono avvicinate 7 ragazze di cui 2 in maniera intermittente, tre in maniera costante, con delle prese in carico vere e proprie su S. Eufemia. Di una c’è stata la scelta di fuoriuscire dalla strada, mentre con un’altra si sta instaurando una relazione di fiducia».