«Dall’esito di approfonditi accertamenti sono emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata nell’amministrazione dell’azienda sanitaria provinciale di Catanzaro». È quanto si legge nel decreto del presidente della Repubblica del 13 settembre scorso con cui è stato disposto lo scioglimento dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro per infiltrazioni della 'ndrangheta. Al decreto, pubblicato oggi in Gazzetta ufficiale e che fa seguito alla decisione del governo di sciogliere l’azienda sanitaria calabrese, è allegata la relazione firmata dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che cita, a sua volta, la relazione del prefetto di Catanzaro dopo l’accesso antimafia presso l’Asp. Nella relazione del minsitro dell’Interno in primo luogo si ricorda che l’accesso antimafia all’Asp di Catanzaro è partito «all’esito di un’operazione giudiziaria denominata 'Quinta Bolgia', i militari della Guardia di finanza di Catanzaro, coordinati dalla procura della Repubblica-Direzione distrettuale antimafia, hanno dato esecuzione a 24 ordinanze di custodia cautelare e ad un provvedimento di sequestro dei beni per il valore di oltre dieci milioni di euro». «Tra i destinatari del provvedimento cautelare figuravano anche amministratori, dipendenti ed ex amministratori dell’azienda sanitaria provinciale di Catanzaro». La relazione del prefetto - si legge ancora nel documento del ministro dell’Interno - «pone in rilievo il ruolo predominante svolto da due gruppi imprenditoriali riconducibili a una locale cosca criminale fortemente radicata sul territorio che ha realizzato un regime di monopolio nel redditizio settore delle ambulanze sostitutive del servizio pubblico e più in generale nell’ambito dei servizi sanitari, favorito soprattutto - secondo quanto ricostruito dagli investigatori - dai privilegiati rapporti intercorrenti tra esponenti della 'ndrangheta e numerosi dipendenti anche di livello apicale dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro». Nella relazione del ministro dell’Interno si specifica che «le attività d’indagine, richiamate nella relazione del prefetto, hanno fatto emergere che l’ultima gara per l’affidamento del servizio sostitutivo delle ambulanze del «118», regolarmente bandita e aggiudicata, risale al 2009 quando il servizio venne affidato, per un anno, a una società riconducibile a uno dei due gruppi imprenditoriali sopra citati, che ha continuato a gestirlo fino ad ottobre 2017, data in cui è stata destinataria di un provvedimento interdittivo antimafia. I vertici dell’azienda sanitaria infatti, anzichè programmare e indire una nuova gara prima della scadenza prevista, hanno permesso - sulla base di continue proroghe illegittime e in alcuni casi addirittura tacite - che la predetta società continuasse a gestire il servizio in parola». La relazione alla base dello scioglimento dell’Asp di Catanzaro rileva poi che «le indagini giudiziarie hanno fatto emergere un quadro particolarmente allarmante all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme evidenziando, segnatamente nel reparto di pronto soccorso, come i due menzionati gruppi imprenditoriali abbiano acquisito di fatto il totale controllo della struttura anche per lo stato di soggezione del personale medico e paramedico. Al riguardo, assume rilevanza sintomatica la circostanza che taluni dipendenti dei citati gruppi imprenditoriali avessero la disponibilità delle chiavi di alcuni reparti dell’ospedale e, in particolare, del locale adibito a deposito dei farmaci e l’accesso ai computers dell’azienda sanitaria provinciale e conseguentemente ai dati sensibili dei pazienti, circostanze che erano peraltro note alla dirigenza dell’azienda». Inoltre - spiega nella relazione il ministro dell’Interno - «dalle verifiche esperite dalla commissione di indagine sulla struttura burocratica è emerso che numerosi dipendenti annoverano precedenti e/o pendenze penali concernenti reati associativi o contro la pubblica amministrazione. Nel settore degli affidamenti di lavori e servizi pubblici, gli accertamenti svolti in sede ispettiva - si legge ancora - hanno evidenziato un generalizzato ricorso agli affidamenti diretti - in assenza quindi di procedure di gara - a favore di un ristretto numero di ditte, che in taluni casi - attraverso il cosiddetto «frazionamento artificioso della spesa» - hanno comportato una sostanziale elusione della normativa antimafia. Gli accertamenti esperiti dalla commissione di indagine tramite la banca dati nazionale antimafia hanno altresì messo in luce che l’Asp di Catanzaro ha richiesto solamente tre informazioni con riferimento a un unico contratto di appalto e che per circa venti imprese affidatarie di lavori o servizi non è mai stata effettuata alcuna richiesta di informativa». In conclusione, per il ministro dell’Interno «gli indizi di ingerenza mafiosa nella gestione amministrativa della struttura sanitaria portano a ritenere sussistenti i presupposti previsti dalla legge per l’intervento dello Stato mirato a prevenire e a contrastare il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nella pubblica amministrazione locale. Per le considerazioni suesposte si ritiene pertanto necessario provvedere a eliminare ogni motivo ulteriore di inquinamento della vita amministrativa dell’ente, mediante provvedimenti incisivi a salvaguardia degli interessi delle comunità comprese nell’ambito territoriale di utenza dell’azienda sanitaria provinciale di Catanzaro».