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Processo Jonny sul Cara di Sant'Anna, le ingerenze degli Arena e i "pizzini" in carcere

«Mi diede un biglietto dicendomi “Te lo manda Paolo”». A parlare è il collaboratore di giustizia, Santo Mirarchi, ex esponente della cosca Arena a Catanzaro, durante il controesame che s'è tenuto ieri davanti al collegio giudicante - presieduto da Marco Bilotta (a latere Ersilia Carlucci ed Elisa Marchetto) - del tribunale di Crotone dove si sta svolgendo il processo scaturito dall'inchiesta “Jonny” della Dda di Catanzaro sulle ingerenze dei clan isolitani nella gestione del Centro per migranti di Sant'Anna.

Il “pentito”, condannato nell'abbreviato di “Jonny” a 2 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione, rispondendo agli avvocati Francesco Laratta e Giuseppe Tortora, ha ripetuto due episodi che avrebbero visto un agente di Polizia penitenziaria, Francesco Cantore (imputato nel medesimo procedimento), fare da tramite tra gli esponenti degli Arena con l'esterno. Per Mirarchi, il «Paolo» del messaggio sarebbe stato Paolo Lentini, ritenuto dalla Procura antimafia il reggente della cosca Arena ad Isola Capo Rizzuto, condannato a 16 anni e 4 mesi di reclusione nell'abbreviato di “Jonny”. Il pizzino, invece, sarebbe stato consegnato da Cantore al collaboratore nel 2016 durante il suo periodo di detenzione nel carcere di Catanzaro. «Sul foglietto - ha spiegato Mirarchi, incalzato dai difensori di Cantore, Laratta e Tortora - c'erano scritti i due avvocati che avrei dovuto nominare». Poi, in un'altra occasione, l'agente si sarebbe avvicinato al “pentito” per rassicurarlo che «si stava provvedendo a mandare i soldi alla mia famiglia».

Una ricostruzione dei fatti che gli avvocati dell'agente di Polizia penitenziaria hanno cercato di far vacillare con le loro domande. Però Mirarchi ha confermato quegli elementi che fanno già parte dell'inchiesta che vede imputate 34 persone - accusate a vario titolo di associazione mafiosa, false fatturazione, usura riciclaggio, malversazione e ricettazione - che hanno scelto il rito ordinario. Altro tema affrontato nel controesame ha riguardato il presunto legame tra don Edoardo Scordio (imputato in “Jonny”) e gli Arena. Mirarchi nell'acceso botta e risposta con gli avvocati del collegio difensivo del parroco, Mario e Tiziano Saporito, ha ribadito il seguente concetto: «Il prete era il gestore degli appalti dentro il Centro di accoglienza».

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