Niente da fare. Il boss di Cutro, Nicolino Grande Aracri, resta in carcere. La Corte d'Assise di Reggio Emilia ha respinto l'istanza con la quale i difensori del 61enne capo della cosca di 'ndrangheta, gli avvocati Gregorio Viscomi e Filippo Giunchedi, avevano chiesto gli arresti domiciliari del loro assistito per il pericolo di contrarre il coronavirus nel carcere milanese di Opera nel quale è detenuto in regime di 41 bis. Inizia quindi a farsi sentire la stretta voluta dal Governo sulle scarcerazione dei mafiosi, dopo le liberazioni concesse nei giorni scorsi per evitare il contagio dell'infezione tra le sbarre. La decisione è stata presa dagli stessi magistrati che stanno giudicando Grande Aracri, detto “mano di gomma”, nell'ambito del processo "Aemilia 1992" dove il boss è accusato di essere stato il mandante degli omicidi di Nicola Vasapollo a Reggio Emilia e di Giuseppe Ruggiero a Brescello, avvenuti tra il 21 settembre e il 22 ottobre del '92. Gli avvocati di Grande Aracri avevano paventato possibili rischi per la sua salute qualora l'ergastolano avesse contratto l'infezione dal momento che soffrirebbe di problemi respiratori e cardiocircolatori. Invece, la Corte d'Assise ha tenuto conto sia del parere negativo dato dalla Dda di Bologna, sia della relazione fornita dalla casa circondariale che difatti esclude pericoli di contagio alla luce delle precauzioni prese. Grande Aracri è coinvolto in diversi procedimenti di 'ndrangheta. A ottobre 2018 è stato condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione nel rito abbreviato di “Aemilia”; mentre a giugno scorso è arrivata la condanna definitiva all'ergastolo nel processo “Kyterion”. Di recente, “mano di gomma” è finito al centro dell'inchiesta “Grimilde”. Non solo. A breve si attendono le decisioni sulle richieste di scarcerazione avanzate dal 42enne Romolo Villirillo, esponente dei Grande Aracri in Emilia Romagna e attualmente sottoposto al 41 bis nel carcere romano di Rebibbia, e da Giuseppe Iaquinta, 63 anni, padre dell'ex calciatore Vincenzo, detenuto nel carcere di Voghera dopo la condanna a 19 anni nel primo grado di “Aemilia”.