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Dall'eolico al cippato, gli altri affari del clan Grande Aracri di Cutro

Parco Eolico Wind Farm

Non solo medicine o parafarmacie. L'inchiesta “Farmabusiness” della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro che ancora una volta ha puntato la sua lente sugli affari della cosca Grande Aracri e sulle sue collusioni con “colletti bianchi” compiacenti e politici “eccellenti”, conferma la pervasività del clan che con i suoi uomini lucra su tutte le iniziative economiche che nascono sul territorio crotonese (e non solo): dai parchi eolici al commercio di cippato per le centrali a biomasse; dal turismo all'agricoltura.

Nell'organigramma del clan, come mettono nero su bianco i sostituti della Distrettuale di Catanzaro, Paolo Sirleo e Domenico Guarascio (che col coordinamento dell'aggiunto Vincenzo Capomolla hanno condotto l'inchiesta sfociata giovedì nell'esecuzione di 19 misure cautelari), ciascuno ha un ruolo o un settore da curare per portare soldi alla “bacinella” della cosca.

Come l'imprenditore originario di Nicotera ma residente da anni ad Isola Capo Rizzuto, Pasquale Barberio, finito ai domiciliari l'altro ieri e considerato lo strumento del clan di Nicolino Grande Aracri per esercitare «il controllo sui villaggi turistici», o per iniziativa legate alla costruzione di strutture turistiche.

È c'è anche il 48enne Gaetano Ciampà (finito in carcere), con l'accusa partecipano alla consorteria cutrese accaparrandosi, grazie all'intervento dei capi della cosca tra cui anche Nicolino Grande Aracri, «i lavori edili e di fornitura di cemento nel territorio cutrese fra i quali i lavori di costruzioni del parco eolico in località Rosito, versando parte dei proventi inerenti tali commesse alla bacinella della cosca».

Della gestione del “business” legato ai videopoker si sarebbe invece occupato il 58enne di Mesoraca Santo Castagnino, operativo per conto del clan nella zona di Petilia Policastro. Discorso a parte merita la gestione del commercio del cippato (materia prima per le centrali a biomase), che faceva gola alla ‘ndrina e di cui si sarebbero occupati Giuseppe Ciampà e Salvatore Grande Aracri (figlio di Antonio), ambedue finiti in carcere giovedì mattina nel blitz condotto dai carabinieri dei Comandi provinciali di Crotone e di Catanzaro.

Le microspie installate dai carabinieri all'interno della tavernetta dell'abitazione del boss Nicolino Grande Aracri, ed i colloqui intercettati prima che questo finisse in carcere «non lasciano alcun dubbio - scrivono gli investigatori - circa la volontà della cosca di investire nella commercializzazione del cippato in quanto ritenuta, dal capo locale molto lucrosa».

In una conversazione captata dalle microspie il 21 settembre 2012, il boss discutendo con Giuseppe Colacino e Michele Diletto (indicati nell'ordinanza come altri affiliati) sottolinea «quanto fosse lucrosa la vendita del cippato». «Nel corso della conversazione - scrivono ancora gli investigatori - i presenti effettuavano un conteggio preciso e meticoloso concludendo di poter guadagnare 300.000 euro al mese. «Ogni nave - avrebbe detto Nicolino Grande Aracri - pure che ne facciamo due al mese, prendiamo trecento mila euro al mese! Per trecento mila euro al mese...».

Gli stessi inquirenti scrivono che molto probabilmente Giuseppe Ciampà avrebbe preso parte ad un incontro tra lo stesso Grande Aracri ed i suoi fiduciari ed imprenditori provenienti dalla Russia. «L'oggetto dell'incontro - è riportato nell'ordinanza - verteva proprio sulla possibilità di innestarsi nel commercio del “cippato” attraverso la nascita e fusione di due società, una in Italia e l'altra in Russia, in grado di curare l'import-export via mare del predetto biocombustibile, di determinarne i prezzi di acquisto e di vendita, di sfruttare il sistema illecito delle false fatturazioni per conseguire ancora più ingenti profitti, di eludere investigazioni tributarie e di polizia giudiziaria».

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