È stata confermata in tutti i gradi di giudizio la presenza e la pervasività della cosca Gallace sul litorale laziale, in particolare nel Comune di Nettuno, dove l’organizzazione criminale, originaria di Guardavalle, ha messo profonde radici. A svelarlo era stata stata nel 2004 l’operazione “Appia”, eseguita dai Ros e coordinata dalla Dda di Roma, che aveva accertato l’egemonia criminale della ’ndrina guardavallese, che aveva allungato i suoi tentacoli anche fuori dalla Calabria. Secondo gli inquirenti, il sodalizio calabrese si sarebbe prima radicato nel Lazio, per poi da lì aprirsi nuovi varchi anche in Lombardia, ampliando il primo giro di affari nel narcotraffico ed estendendo il proprio controllo su territori più economicamente redditizi, senza mai perdere il contatto con la “casa madre”. A distanza di 16 anni dall’arresto degli esponenti del sodalizio, la Corte di Cassazione ha confermato le condanne emesse dalla Corte d’Appello di Roma nel 2018, rigettando il ricorso presentato dal boss Vincenzo Gallace, 74 anni, e dai suoi sodali Agazio Gallace, 66 anni, Angelo Gallace, 54 anni, Bruno Gallace, 48 anni, Antonio Gallace, 57 anni, Cosimo Damiano Gallace, 59 anni, Giuseppe Antonio Gallace, 51 anni, Pietro Gallace, 54 anni, Cosmo Leotta, 60 anni, Paolo Riitano, 47 anni, Francesco Taverniti, 44 anni, Liberato Tedesco, 78 anni, e Domenico Origlia, 59 anni. La Corte di Cassazione ha, invece, in parte accolto i ricorsi presentati da Romano Malagisi, 59 anni, Marco Pacini, 55 anni, Massimiliano Pascucci, 47 anni, e Bruno Vincenzo Tedesco, 49 anni, limitatamente ad alcuni capi di imputazione, in alcuni casi senza rinvio, in altri con rinvio alla Corte d’Appello. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro