'Ndrangheta, parla ancora Mantella: "Mi sono pentito perché ho capito gli errori che ho fatto"
«Se sono degno di essere definito collaboratore di giustizia lo decideranno gli onorevoli giudici. Io mi sono pentito perché ho capito gli errori che ho fatto». Lo ha detto Andrea Mantella, testimone chiave del processo di 'ndrangheta Scott-Rinascita (celebrato a Catanzaro) aprendo il suo interrogatorio al processo "Fenice-Carminius" ripreso oggi a Torino, dove è stato chiamato a rispondere a domande sull'attività del clan Bonavota a Carmagnola (Torino). "Mandai dei killer a Torino - ha detto ricostruendo un episodio di alcuni anni fa - per uccidere Antonino Defina, che dava fastidio ai Bonavota (e ai loro parenti della famiglia Arona, operativi a Carmagnola - ndr) nell’edilizia e si stava facendo un gruppo autonomo. L’omicidio non ebbe luogo perché gli esecutori furono fermati e controllati da una pattuglia delle forze dell’ordine. In Calabria uccidemmo il suo braccio destro, Domenico Di Leo: lo massacrammo a colpi di kalashnikov sotto casa sua. Io però rimasi in auto: spararono due miei discepoli che volevano imparare il mestiere. Ma Defina era più intelligente di lui. Mi sfuggì parecchie volte dalle mani".
"La guerra è finita con la vittoria dei Bonavota"
«La guerra è finita con la vittoria dei Bonavota. Hanno vinto sul campo. Non c'è trippa per gatti». Lo ha detto il pentito Andrea Mantella, uno dei testi chiave del maxi processo Rinascita-Scott, in corso a Catanzaro, ascoltato oggi a Torino nell’ambito di un altro processo di 'ndrangheta, chiamato Fenice-Carminius, celebrato dal tribunale di Asti. Mantella ha raccontato di essere «nato» nel clan Lo Bianco "da ragazzino», e poi di avere formato un proprio «gruppo militare autonomo» che si alleò con altre cosche, tra cui i Bonavota, in opposizione ai Mancuso. Nella guerra che ne seguì "i Lo Bianco furono quasi cancellati, i Mancuso furono messi in difficoltà». Il collaboratore, che si è attribuito «tanti omicidi», ha parlato di una "black list" di persone da uccidere. In due casi, però, non si fece nulla. Il primo fu quello di Rosario Petrolo, "che era all’ergastolo per la cosiddetta Strage dell’Epifania del 1991, diretta contro i Bonavota, dove morirono persone innocenti. Sapendo che forse gli stavano per dare un permesso premio, vennero da me e mi dissero 'compare Andrea, due polli in un pollaio non ci possono stare: se esce devi ucciderlo». Il secondo riguardava un boss «ma intervenne la «ndrangheta madre, dopo la loro mediazione, non intervenimmo».