Il pentito vibonese Andrea Mantella racconta che, nei primi anni ’90, era in carcere a Catanzaro assieme a Carmelo Bagalà e nel corso di una discussione con un altro detenuto, a prendere le difese del presunto boss arrestato nell’operazione “Alibante” era intervenuto Giovannino Iannazzo, fratello del capoclan Vincenzino detto il “moretto”, pronunciando parole inequivocabili: «Non ti permettere che questo è uno dei nostri, è un amico». Lo stesso Gip di Catanzaro rileva che tutti pentiti che ne hanno parlato, pur provenienti «dalle più varie estrazioni criminali di matrice 'ndranghetista calabrese (lametina, vibonese e cosentina), convergono nel collocare il Bagalà quale esponente della potente cosca lametina confederata Iannazzo-Cannizzaro-Daponte». La Dda di Catanzaro ha raccolto le dichiarazioni di Pasqualino D’Elia, Matteo Vescio, Giuseppe Giampà, Angelo Torcasio, Gennaro Pulice e Rosario Cappello.
Secondo D’Elia, ex “santista” del clan Pagliaro-Gattini-Andricciola e cugino di Santo e Ciccio Iannazzo, Bagalà è «uomo d'onore fidelizzato» alla cosca di Sambiase. Cappello ha prima raccontato che Pasquale Lupia (elemento di spicco del clan Daponte) gli aveva confidato che Bagalà era «persona di fiducia» delle cosche confederate e poi, risentito dagli inquirenti nel luglio del 2018 nell’ambito di “Alibante”, ha ribadito che «Bagalà opera a Nocera Terinese (...) in particolare in Falerna, a Campora San Giovanni, Gizzeria e arriva anche ai confini di Cosenza, diciamo zona Amantea», aggiungendo che «sempre il benestare glielo davano i Iannazzo di Sambiase o i Daponte, sia Vincenzino detto “u’ Niru” e Francesco “u' Cafarone” Iannazzo (...) questo è un uomo, che lo hanno messo i Iannazzo e i Daponte, perché lui non so se originario è di Reggio Calabria, non è che veniva da Reggio Calabria… gli hanno dato il mandato diciamo».
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