Catanzaro, Crotone, Vibo

Lunedì 25 Novembre 2024

Ndrangheta Vibo, processo “Black money”: confermata la sentenza del secondo grado

Cala il sipario sul processo “Black money”. L’ultimo atto  è stato celebrato oggi davanti  alla Suprema Corte che ha confermato la sentenza di secondo grado nei confronti degli imputati e quindi confermato - almeno per il lasso di tempo cui si riferiva l'inchiesta - l’inoperatività del clan Mancuso di Limbadi.
In  Cassazione, infatti, sono approdati  i ricorsi della Procura generale e di cinque imputati avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 12 novembre del 2019, attraverso cui, confermando in gran parte la sentenza di primo grado, non veniva emessa alcuna condanna per associazione mafiosa nei confronti degli esponenti apicali della famiglia Mancuso di Limbadi coinvolti.
Già il Tribunale collegiale di Vibo, infatti, nel febbraio del 2017 aveva ritenuto non sufficientemente provata l’accusa di associazione mafiosa per alcuni esponenti di spicco del clan ritenuto tra i più potenti e pericolosi.
A proporre ricorso contro la sentenza di secondo grado sia la Procura generale – relativamente alle posizioni dei boss Giovanni, Antonio e Pantaleone Mancuso (alias Scarpuni), quest’ultimo difeso dall’avv. Francesco Gambardella  e dall’avv. Francesco Sabatino è  stato assolto in primo e in appello – sia gli imputati    Antonio (avv. Giuseppe Di Renzo) e Giovanni Mancuso (avv. Maurizio Nucci e avv. Vincenzo Maiello);  Gaetano Muscia (avv. Giovanni Vecchio);  Antonio Prestia (avv. Sabatino)  e  Agostino Papaianni (avv. Salvatore Staiano e avv. Michelangelo Miceli).

Le conferme delle condanne in appello

In particolare in Appello erano state confermate le condanne rispettivamente a 9 e cinque anni di carcere per i due capostipiti: Giovanni Mancuso  e Antonio Mancuso, per quest’ultimo  si tratta di una continuazione della sentenza Dinasty. Al contempo erano state confermate l’assoluzione per Pantaleone Mancuso “Scarpuni”  e la condanna a 7 anni e 8 mesi per Agostino Papaianni,  nonché quelle a 7 anni per Gaetano Muscia  e a 5 anni e 6 mesi per Antonio Prestia. La prescrizione era stata dichiarata per Giuseppe Mancuso condannato in primo grado a un anno e 6 mesi.
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