Roberto Franzè, 45enne pregiudicato residente a Brescia ma di origini vibonesi, si è tolto la vita ieri in carcere ad Ascoli Piceno. Franzè era considerato vicino alla cosca Romano di Vibo e lo scorso 10 novembre era stato arrestato dai carabinieri di Brescia con l'accusa di usura, estorsione, rapina, sequestro di persona, lesioni, ricettazione, detenzione e porto abusivo di arma e abusiva attività finanziaria, tutti aggravati anche dal metodo mafioso. Secondo l’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia, nonostante si trovasse affidato in prova al servizio sociale a seguito di condanna per altri reati, con la collaborazione del fratello e di altri quattro indagati, fra il mese di settembre 2019 e maggio 2020, Franzè dopo aver carpito la fiducia di tre imprenditori in difficoltà economica operanti in Lombardia nei settori commerciali della rivendita di autovetture, di bevande e di gestione di sale slot machine, gli ha concesso una serie di prestiti usurai con tassi compresi fra il 130 e il 429%. Sulla morte di Franzè si sono espressi i legali dell’uomo, Giambattista Scalvi e Anna Marinelli del foro di Bergamo: “È stato un suicidio annunciato da lettere quotidiane ai magistrati dei procedimenti nei quali era indagato. Due giorni fa”, scrivono gli avvocati di Franzè, il proposito suicidario era stato di nuovo comunicato da parte dei difensori alle istituzioni competenti. Franzè aveva comunicato di essere ridotto a 50 kg di peso, di vomitare ogni giorno oltre ad essere sofferente delle patologie psichiche documentate agli atti. Aveva detto di non farcela più e di non poter attendere la sciatteria degli enti pubblici nel ritrovare una comunità che potesse ospitarlo per le proprie patologie”.