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Inchiesta Corvo a Catanzaro, la Cassazione: non ci fu peculato

Depositate le motivazioni della decisione con cui la Corte ha annullato il sequestro all’ex consigliere regionale

Claudio Parente

«Mancano elementi concreti per ipotizzare, ai fini del fumus del reato di peculato, che la spesa non sia stata conforme alla legge». È quanto scrivono i giudici della Corte di Cassazione nel provvedimento con cui hanno annullato senza rinvio il sequestro di 37mila euro nei confronti dell’ex consigliere regionale Claudio Parente. L’esponente politico è coinvolto nell’inchiesta Corvo che ha fatto luce sull’inserimento nella struttura regionale che faceva capo a Parente quando era consigliere di due componenti imparentati con i consiglieri comunali Giuseppe Pisano e Francesco Gironda, entrambi eletti in Officine del Sud, lista di cui Parente era ispiratore; un inserimento ritenuto dalla Procura strumentale in quanto i due esponenti comunali avrebbero poi sostenuto l’approvazione di una delibera consiliare a favore dell’Associazione interregionale “Vivere Insieme” che Parente aveva guidato fino al 2010. «Nel caso in esame - scrive la VI sezione della Corte - l'ipotesi accusatoria si basa sull'assunto che la nomina dei due collaboratori e il relativo impegno di spesa siano stati ispirati a finalità esclusivamente private dell'indagato (ottenere un appoggio favorevole all'appropriazione di una delibera). Tale costruzione si scontra all'evidenza con la prerogativa concessa dalla legge regionale n. 8 del 1996 ai presidenti dei gruppi consiliari della Regione Calabria di avvalersi della collaborazione di segreterie particolari, dette strutture speciali, nel numero massimo di 2 unità, scelte anche al di fuori degli appartenenti al ruolo del Consiglio regionale, della Giunta o di altre pubbliche amministrazioni».

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