Non solo auto-riciclaggio. C’è anche l’accusa di esibizione di atti falsi tra le accuse mosse dalla Procura di Lamezia all’imprenditore Claudio Arpaia e alla moglie Annamaria De Gaudio, finiti sotto inchiesta nell’operazione denominata “Boccaccio” condotta dalla Guardia di finanza di Catanzaro, insieme a un consulente finanziario milanese Armon Rossi e l’imprenditore trentino Mauro Armani. I coniugi, secondo quanto ricostruito dalle fiamme gialle, avrebbero dichiarato all’Agenzia delle Entrate di avere ereditato dalla madre di Arpaia 500mila euro, che erano custoditi in una cassetta di sicurezza. Un’informazione che però per gli inquirenti non corrisponderebbe al vero. E questo perché dall’esame del registro accessi effettuato dai militari della Guardia di finanza, sarebbe emerso che la mamma di Arpaia «non aveva mai avuto accesso alla cassetta di sicurezza aperta alla filiale Credem di Lamezia, il che fa concludere che è impossibile che il denaro ivi presente sia stato depositato dalla signora Savino (madre di Arpaia) all’insaputa del figlio. Tanto più che Claudio Arpaia e sua moglie, dalla morte della madre fino alla data di presentazione della prima dichiarazione di successione, hanno aperto la cassetta di sicurezza rispettivamente 33 e 20 volte». Analizzando la progressione degli accessi, si legge nell’ordinanza vergata dal Gup Francesco De Nino, emerge che, dal giorno dell’apertura della cassetta, «Arpaia, suo fratello Nicola (socio della Francesco Arpaia di Claudio Arpaia & C. Snc dal 30.06.1997 al 22.01.2001) e Annamaria Del Gaudio accedevano alla cassetta, in particolare nei mesi estivi e in prossimità delle festività, con una frequenza tale da far ritenere che qui depositassero e/o ritirassero denaro contante di provenienza non lecita, che in quanto tale intendevano non far transitare sui conti correnti». Per questo, per il Gup la richiesta di voluntary disclosure era stata formulata con «dichiarazione falsa». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro