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Soverato, all’ospedale il "casting" delle vittime. Nello studio privato gli abusi sessuali

I retroscena delle indagini che hanno portato all’arresto del finto ginecologo

L'ospedale di Soverato

In uno studio privato si collezionavano violenze, in un ospedale pubblico si selezionavano le potenziali vittime. La storia del cardiologo arrestato a Soverato per abusi sessuali su 63 donne provenienti dalla provincia catanzarese e non solo, non lascia nessuno indifferente e, all’indomani del blitz dei carabinieri nella corsia dell’ambulatorio dell’ospedale del Basso Ionio in cui il medico era in servizio, emergono nuove inquietanti testimonianze.

Ci sono ancora vittime non identificate nei filmati sequestrati dai carabinieri, donne a cui si chiede di fornire eventuali informazioni che possano definire in modo ancor più nitido i contorni di un’indagine che si arricchisce di nuove segnalazioni. Sono già tre le persone che hanno contattato la compagnia dei carabinieri soveratese dopo l’arresto del medico, dichiarando di avere subìto delle violenze dal cardiologo originario della provincia di Vibo, fornendo delle testimonianze che i militari al comando del capitano Marco Colì avranno ora il compito di validare. E l’appello lanciato dagli inquirenti è ancora quello di farsi avanti nel percorso attivato dalla compagnia soveratese con il supporto del personale femminile in servizio, che ha accompagnato discretamente le denuncianti e che è pronto ad ascoltare ulteriori dichiarazioni di chi non ha trovato il coraggio di denunciare gli abusi o non li ha riconosciuti, per inesperienza, come tali. Da sfondo alla delicatissima attività di indagine c’è infatti la sudditanza psicologica delle vittime indotte dal medico a credere di avere gravi patologie da curare. Nel meccanismo collaudato dal cardiologo, infatti, c’era una millantata specializzazione in ginecologia che apriva la strada alla supposta perversione a cui le donne vittime hanno dichiarato di non riuscire a sottrarsi. C’era chi subiva il disagio di “visite interminabili” che duravano “anche un’ora” e chi racconta di essere stata ricevuta all’interno di uno studio in cui non era mai presente nessuno in sala d’attesa.

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