Le società del gruppo Perri, create dal padre Antonio fin dagli anni ’80, sono poi passate nella titolarità dei figli con atti di acquisizione, di partecipazione al capitale sociale, di donazione e di successione dopo che il capostipite della famiglia, nel 2003, è stato ucciso. Ma dagli accertamenti effettuati dalla Procura di Catanzaro e dalla Guardia di finanza è emerso che i tre figli destinatari del maxisequestro da 800 milioni di euro – Franco, Pasqualino e Marcello – vivono «con redditi irrisori, sicuramente inidonei anche solo a soddisfare le esigenze primarie di vita». Dall’analisi dei loro movimenti economico-finanziari è venuta fuori «una netta sproporzione rispetto ai redditi dichiarati o all'attività economica svolta». La «pericolosità» dei Perri, ritenuti dalla Dda imprenditori di riferimento della cosca Iannazzo, è stata così perimetrata dagli inquirenti dai primi anni ’80, periodo in cui i pentiti individuano il padre in rapporti con le cosche lametine, fino all’attualità, visto che al figlio Franco, considerato il dominus del gruppo, è contestata l’accusa di associazione mafiosa dal 2003 fino a oggi. È su queste basi che il Tribunale ha ritenuto «sussistenti» i presupposti per il sequestro. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro