Si discute da anni della valorizzazione e messa in sicurezza del Porto di Vibo Marina, di finanziamenti in arrivo, di progetti di sviluppo, di piani ministeriali che purtroppo al momento restano solo sulla carta. A riaccendere i riflettori sull’abbandono della città portuale sono i pescatori che ogni giorno si servono dell’infrastruttura per motivi di lavoro e che in questi giorni stanno portando avanti la loro protesta. La storica marineria vibonese deve, infatti, fare i conti non solo con i danni derivati dalla pandemia e dal caro gasolio, ma con una serie di criticità. Solo la banchina Fiume è stata oggetto di interventi di messa in sicurezza. Per quanto riguarda invece le altre banchine, «necessitano di lavori di una precisione chirurgica – spiegano i pescatori –, infatti c’è il rischio di un totale cedimento». Anche il dragaggio del Porto è un’operazione indispensabile che, per come ricordano gli armatori, non si effettua più da parecchi lustri e che consentirebbe l’attracco di navi di grosso cargo, comprese quelle da crociera. «Da parte dell’autorità portuale – commentano gli operatori ittici – l’aiuto è minimo. Per sbrigare una pratica passano mesi. A mancare all’appello – aggiungono – sono i servizi primari. Per il ricovero delle reti dobbiamo pensarci autonomamente, mentre in altre realtà costiere è la stessa Capitaneria di porto a fornire i locali».
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