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“Intimidazioni, furti ed estorsioni”. Così il clan Bagnato dettava legge a Crotone

Le motivazioni d’Appello della sentenza sulla cosca di Roccabernarda. La Corte, lo scorso gennaio, ha inflitto 13 condanne a capi e sodali

Un’associazione ‘ndranghetistica che attraverso condotte «di indubbia valenza intimidatoria», come i furti, le estorsioni e l’ingerenza negli uffici pubblici, era riuscita a «controllare il territorio» di Roccabernarda, oltre a «soggiogare gli animi» dei cittadini.
È scritto nero su bianco dai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro che hanno così motivato la sentenza con la quale, il 19 gennaio scorso, hanno inflitto 13 condanne per 121 anni di carcere, a carico di vertici e sodali della presunta cosca Bagnato, coinvolti nel processo di secondo grado scaturito dall’inchiesta antimafia “Trigarium”.
Si tratta dell’operazione che, il 30 luglio 2018, consentì alla Dda di Catanzaro ed ai carabinieri della Compagnia di Petilia Policastro di mettere sotto scacco il clan capeggiato da Antonio Santo Bagnato (per lui pena di 24 anni e 6 mesi di reclusione in appello), che dopo l’omicidio del 28enne Rocco Castiglione, avvenuto il 31 maggio 2014, aveva assunto il dominio dell’area di Roccabernarda.

 

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