«La prerogativa del “locale” di San Leonardo di Cutro capeggiato da Alfonso Mannolo era le gestione dei villaggi in tutto e per tutto», ha esordito così nella sua requisitoria il pubblico ministero della Dda di Catanzaro, Andrea Buzzelli. «La cosca dei “sanleonardesi” era riuscita ad espandersi in Umbria grazie alla figura di Giuseppe Benincasa», ha aggiunto l’altro pm dell’Antimafia, Pasquale Mandolfino. Davanti al Tribunale di Crotone, in cinque ore di requisitoria, ieri i due magistrati antimafia, hanno ripercorso le accuse del processo di primo grado a carico di 28 imputati, scaturito dalle inchieste “Malapianta” e “Infectio”. Si tratta delle due operazioni con le quali la Guardia di Finanza e la Polizia, tra maggio e dicembre 2019, hanno messo all’angolo la cosca Mannolo-Zoffreo-Trapasso di San Leonardo di Cutro, oltre ad aver disarticolato le sue ramificazioni nella provincia di Perugia. Al termine della discussione, i pm hanno chiesto al collegio presieduto da Massimo Forciniti (a latere Elisa Marchetto e Alfonso Scibona) 26 condanne per 238 anni e 8 mesi di carcere e due assoluzioni. Tra le pene proposte spiccano i 30 anni di reclusione ciascuno chiesti per Alfonso Mannolo, considerato il numero uno del clan di San Leonardo di Cutro, e per il figlio Remo Mannolo, tra i promotori del gruppo criminale. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro