Catanzaro, Crotone, Vibo

Domenica 06 Ottobre 2024

Il processo per la morte di Sonia Pontoriero, assolti tre sanitari dell'ospedale di Vibo

L'ospedale Jazzolino di Vibo Valentia

Sei anni dopo il drammatico volo dal viadotto “Costiera di Pizzo”, la Corte d’Assise di Catanzaro (presidente Bravin) chiude un primo doloroso capitolo sulla morte di Sonia Pontoriero, di 42 anni, la quale il 29 settembre del 2016 pose fine alla sua vita lanciandosi nel vuoto. Un decesso per il quale due medici e un infermiere del reparto di Psichiatria dell’ospedale Jazzolino erano finiti sotto processo con l’accusa di concorso in abbandono di persona incapace con l’aggravante di averne cagionato la morte. Imputati che però ieri sono stati assolti dalla Corte d’Assise «perché il fatto non sussiste». Si tratta della psichiatra Fulvia Franca Mazza, di 67 anni (difesa dall’avv. Salvatore Staiano, dall’avv. Francesco Muzzopappa e dall’avv. Lucrezia Staiano); della psicologa Giovanna De Maria, 65 anni (avv. Enzo Cantafio), entrambe di Vibo e dell’infermiere Raffaele sette, 61 anni di Arena (avv. Vincenzo Gennaro). Nei loro confronti anche il pubblico ministero Corrado Caputo aveva chiesto l’assoluzione non essendo mai state dimostrate le responsabilità degli imputati in relazione alla drammatica vicenda. Nel processo la madre della vittima, Rosa Garreffa si era costituita parte civile con l’avv. Giuseppe Di Renzo. Secondo quanto emerso dalle indagini – all’epoca condotte dai carabinieri della Stazione di Pizzo – e sulla base delle testimonianze di quanti erano venuti in contatto con la donna nelle sue ultime ore di vita, Sonia Pontoriero qualche ora prima di suicidarsi era stata accompagnata dai familiari in ospedale in evidente scompenso psicotico per essere sottoposta a un Tso. In base a quanto veniva contestato ai sanitari gli stessi avrebbero abbandonato a se stessa la donna omettendo di sottoporla al Tso «nonostante la ricorrenza dei presupposti (alterazione psichica e rifiuto del trattamento necessario) – rilevava il pm – oltre che l’autorizzazione all’utilizzo della forza prestata dal cugino» provvedendo solo a firmare la proposta del trattamento senza eseguirlo. I sanitari pertanto avrebbero lasciato che la 42enne si allontanasse liberamente dal reparto. Allontanamento conclusosi poi con il suicidio. accuse cadute nel corso del dibattimento in quanto non sono mai state dimostrate le responsabilità degli imputati nella dolorosa vicenda. Da qui l’assoluzione per tutti.

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