In difesa del prestigio dell’avvocatura e per la rimozione di ogni ostacolo alla pari dignità tra tutti gli attori della giurisdizione, intervengono i presidenti delle Camere Penali di Catanzaro, Crotone, Lamezia e Vibo.
"E’ di questi giorni la notizia che ha visto due avvocati, rispettivamente dei Fori di Potenza e Verona, protagonisti di episodi aberranti che, loro malgrado, hanno occupato le prime pagine dei giornali. Nella prima vicenda la Procura della Repubblica, al fine di accertare la “veridicità” di un certificato medico che attestava l’impossibilità per il difensore di partecipare all’udienza presso il Tribunale penale di Potenza, inviava i carabinieri unitamente ad un medico presso la sua abitazione. L’altra vicenda assume contorni ancora più gravi e irrispettosi della pietas verso i defunti. In questo caso, infatti, la richiesta di differimento dell’avvocato veronese avanzata al Tribunale di Brescia era giustificata dalla contestuale partecipazione del difensore alla “cremazione” della defunta madre: richiesta messa in discussione dal giudice tanto da inviare i carabinieri presso la Sala Cremazioni “al fine di verificare le generalità della defunta e del di lei figlio”.
Vicende gravi, emblematiche della sfiducia tra due componenti essenziali del mondo giudiziario, avvocatura e magistratura. La magistratura sempre più avvezza a considerare il difensore come un mistificatore e pericoloso personaggio che intralcia le sorti del processo; l’avvocatura che, avvertendo il peso della diffidenza riservatagli dagli altri attori della giurisdizione, non ripone più alcuna aspettativa sulla terzietà del Giudice e sull’equilibrio della magistratura requirente.
Se gli avvenimenti narrati avvenivano fuori dal territorio calabrese, questa volta vedendoci come increduli spettatori, alle nostre latitudini l’attacco alla dignità del difensore e alla funzione forense assume oramai connotazioni sistemiche, tanto da determinare il sovvertimento dei principi e dei valori costituzionali che animano il processo penale.
Da qualche giorno, infatti, agli avvocati impegnati nei processi (quasi sempre di criminalità organizzata) presso l’aula Bunker di Lamezia Terme, è inibito – per presunte e non meglio esplicitate ragioni di sicurezza – parcheggiare le auto nello sconfinato piazzale dell’edificio giudiziario. La “pomposa” aula bunker di Lamezia Terme è dotata di spazi enormi destinati, sino a pochi giorni fa, alla sosta delle auto; l’avvocatura (e non solo) vi accede(va) previo controllo da parte dei militari dell’esercito - un vero e proprio check-point - i quali registrano e annotano targa e documenti, previa verifica (anche) della effettività dell’impegno professionale. Inoltre, prima di accedere alla sede giudiziaria i difensori sono sottoposti ad ulteriori controlli, attraverso la verifica dell’identità personale (nuova annotazione del nome e numero di tessera professionale sul registro tenuto dalle guardie giurate della vigilanza privata) e al passaggio dal metal detector ogni qual volta si entra ed esce dall’aula.
Poiché, però, l’avvocato rappresenta all’evidenza un “pericolo” per l’ordine pubblico e l’incolumità personale - di chi, lo si può solo intuire - ad avviso dei dirigenti del Distretto giudiziario della Corte D’Appello di Catanzaro appariva necessario implementare i presidi di sicurezza al fine di neutralizzare la fonte di rischio, vietando l’utilizzo agli avvocati del predetto “piazzale”, già distante circa 300 mt. dall’aula.
Dilaga la cultura del sospetto, l’utopia securitaria rappresenta l’ennesimo e ingiustificato attacco nei confronti dell’avvocatura, degno di un regime illiberale, in cui il difensore è avvertito come un nemico del popolo e, come tale, merita di essere avversato. Sia inteso, qui non si tratta di rivendicare un diritto corporativo al posto auto (ora relegato in un luogo distante circa 800 mt.); è in gioco, invece, il doveroso e reciproco rispetto che tutti gli attori della giurisdizione dovrebbero reciprocamente riconoscersi come terreno minimo comune sul quale edificare e garantire il buon andamento della vita giudiziaria.
Cosa sia accaduto negli ultimi giorni di così grave da inibire agli avvocati l’utilizzo del parcheggio (nemmeno destinato ad altra funzione) non è dato sapere. Peraltro - non a caso evidentemente - presso il Tribunale e la Corte D’appello di Catanzaro è stato introdotto, da pochi giorni, per i soli avvocati (non anche per magistrati, personale di cancelleria, addetti all’ufficio del processo, guardie giurate, carabinieri, fonici, etc) il controllo di borse e valigette sul nastro trasportatore del metal detector. Sicché, all’evidenza, l’avvocato è considerato come “fonte di pericolo per la sicurezza pubblica”.
Nella casistica delle circostanze, dei luoghi comuni o di quant’altro possa svilire e attaccare il ruolo difensivo, questa mancava. Ed allora, quanto appreso dal personale addetto alla vigilanza e dal Presidente del Collegio del Tribunale penale di Vibo Valentia nel corso dell’udienza del processo Rinascita Scott, assume le caratteristiche di un’ingiustificata aggressione al prestigio e alla funzione difensiva.
Sia chiaro, l’attacco aspro e arbitrario ad uno solo degli attori della giurisdizione, non delegittima la classe forense ma, al contrario, lede l’immagine e la credibilità di tutto il Distretto. Occorre avere il coraggio e l’onestà di porre rimedio a simili errori di valutazione. Per queste ragioni, le Camere Penali di Catanzaro, Crotone, Lamezia Terme e Vibo Valentia, manifestando forte preoccupazione e turbamento, chiedono che il Presidente della Corte e il Procuratore Generale del Distretto di Corte D’Appello di Catanzaro, ognuno nelle rispettive competenze, revochino, con effetto immediato, i provvedimenti che hanno determinato il trattamento discriminatorio riservato all’avvocatura chiarendone nel contempo la ratio, e si adoperino, per il futuro, a rimuovere ogni ostacolo al riconoscimento della pari dignità tra tutti gli attori della giurisdizione.
Nel precisare che la magistratura non deve difendersi dall’avvocatura, ma al contrario tutelarla, si rammenta che la classe forense non è ospite negli uffici giudiziari, ma vi accede unitamente a tutte le parti processuali e al personale di cancelleria per svolgere la propria funzione, essenziale per la vita democratica del Paese. Riservando ogni ulteriore iniziativa politica volta alla tutela del prestigio e della dignità della classe forense, nello spirito che è proprio dell’Unione delle Camere Penali Italiane a cui con orgoglio appartengono, le Camere Penali firmatarie rappresentano la propria disponibilità ad un confronto leale e proficuo (anche) sul tema della sicurezza nelle sedi giudiziarie del Distretto".
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