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Vigilanza privata di Vibo, pressioni e collusioni. Le accuse reggono pure in secondo grado

Rideterminate in Appello le pene nei confronti di Potenzoni, Purita e Barba

La sede dell’epoca dell’istituto di vigilanza che sarebbe stato favorito

La sentenza dei giudici d’Appello è arrivata a distanza di ben nove anni dall’operazione denominata “Fox” che, condotta dalla Squadra mobile e dalla Dda di Catanzaro, aveva posto in risalto le pressioni della criminalità organizzata sugli istituti di vigilanza vibonesi. Una sentenza che segue di tre anni quella emessa dal Tribunale di Vibo nel marzo del 2019 e che per il già testimone di giustizia Pietro Di Costa (assistito dall’avv. Luigi D’Aniello del Foro di Salerno) acquista un duplice significato nel senso che è stato ritenuto attendibile l’impianto accusatorio in buona parte basato sulle dichiarazioni del testimone la credibilità del quale il collegio della difesa ha cercato più volte di smantellare.
Comunque sia ieri la Corte d’Appello di Catanzaro (presidente Di Girolamo) in riforma della sentenza del Tribunale di Vibo – appellata dai quattro imputati – ha riderminato in 4 anni di detenzione la pena e 8mila e 500 euro di multa nei confronti di Paolo Potenzoni, 47 anni di San Costantino Calabro (6 anni e 12mila euro di multa in primo grado). Pena rideterminata anche nei confronti di Michele Purita, 55 anni di Cessaniti e Carmelo Barba, 40 anni di Vibo in 5 anni di reclusione e 800 euro di multa ciascuno. Infine confermata la condanna a 3 anni e 10 mesi emessa nei confronti di Stefano Mercatante, 62 anni, all’epoca poliziotto in servizio alla Questura di Vibo, il quale aveva rinunciato alla prescrizione.
Concorrenza illecita, minacce e tentata estorsione ai danni di Di Costa, all’epoca , titolare dell’istituto di vigilanza Sycurpol di Tropea, le accuse aggravate dalle modalità mafiose nei confronti di Purita (a sua volta all’epoca titolare dell’Istituto Sud Security) e Barba. Secondo l’accusa – rappresentata in primo grado dal pm distrettuale Annamaria Frustaci – inoltre, Mercatante, addetto alla sorveglianza sugli istituti di vigilanza, sarebbe stato pagato nel 2011 da Purita per omettere i controlli sul suo istituto di vigilanza e per questo motivo rispondeva di corruzione, in concorso con Purita.

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