Quando l’indagine su di loro era ancora alle prime battute si occupavano «prevalentemente» di traffico di droga, per lo più cocaina. Poi è venuto fuori che i Piscopisani erano, secondo la Dda di Catanzaro, un vero e proprio clan di ‘ndrangheta, un nuovo “locale” della frazione alle porte di Vibo di cui la sentenza di primo grado scaturita dall’operazione “Rimpiazzo” riconosce l’esistenza e tratteggia la storia.
Quella dedita al narcotraffico, secondo la presidente del collegio giudicante Tiziana Macrì, era di fatto una struttura «parallela e sovrapposta» rispetto a quella di stampo mafioso. E aveva «un ambito spaziale ben più ampio, essendovi ricompreso non solo il territorio vibonese ma anche quello di Palermo e Bologna». Le fonti di prova, al riguardo, sono «eterogenee e provengono da una vasta attività di sorveglianza e monitoraggio telefonico ed ambientale, i cui esiti sono stati poi ampiamente confermati e riscontrati da una molteplicità di dati univoci e concordanti».
Si parla di «numerosi quantitativi, talvolta ingenti», di coca e hashish. A muoverli è una rete di persone legate tra loro da rapporti di amicizia e che «opera stabilmente in aree del vibonese quale epicentro del traffico». L'approvvigionamento avviene «sempre attraverso gli stessi canali e da parte degli stessi soggetti che poi curano, tramite una fitta rete di "pusher", lo spaccio al minuto».
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