Ufficialmente Davide Sgro, 26 anni, non ha superato il periodo di prova di tre mesi nel salone di parrucchiere in cui prestava servizio. In realtà, afferma lui, è stato licenziato perché omosessuale. Davide, giovane catanzarese, è un noto attivista che si batte per i diritti dei gay. Affida spesso ai social i suoi sfoghi, causati dalla diffidenza, se non dall’ostilità, suscitate dal suo look appariscente, e partecipa a trasmissioni radiofoniche su network nazionali. «La mia datrice di lavoro – racconta all’Agi – voleva impormi cosa fare nella mia vita privata, sostenendo che la mia omosessualità, il mio modo di atteggiarmi e vestirmi, avrebbero potuto allontanare la clientela. Così – aggiunge – lo scorso 1 aprile sono stato licenziato. Un bel pesce d’aprile. Lei mi ha semplicemente comunicato che non ho superato i tre mesi di prova previsti dal contratto, ma io so che la ragione è la mia omosessualità. Per questo – sostiene – mi sono rivolto all’ispettorato del lavoro».
Davide scrive spesso post su Facebook in cui descrive i suoi stati d’animo suscitati dalla diffidenza che lo circonda in ogni ambiente, a partire da quello familiare. Non mancano le risposte offensiva, ma lui non demorde: «Quando ero bambino – ha scritto nei giorni scorsi – volevo la cucina giocattolo. Non l’ho mai avuta, perché non l’ho mai chiesta. E non l’ho mai chiesta perché era un gioco per femmine e io mi vergognavo. Sì, avevo appena quattro o cinque anni mi vergognavo. E me lo ricordo ancora, perché mi sono vergognato altre volte, per altre cose da femmina, che erano soltanto cose, ma io non lo sapevo. Ripenso con tenerezza e rabbia a quel bambino, perché non è giusto né sano che un bimbo provi vergogna per quello che gli piace, per ciò che lo fa felice, addirittura per ciò che è. Credo prosegue – non ci sia niente di più sbagliato. Com’è possibile che un bambino così piccolo abbia già disfatto una parte di sé per diventare quello che la società ha stabilito? Com’è possibile – si chiede – che abbia imparato a sentirsi un difetto prima ancora di essere? Com’è successo che qualcuno l’abbia permesso? Eppure accade, è successo a me come a milioni di altri bambini e bambine. E succede perché viviamo in una società che non ci educa alla conoscenza, al rispetto e alla protezione della nostra unicità. Io ho impiegato anni per chiedere scusa a quel bambino, perché per tanto tempo l’ho ammonito, gli ho detto di starsene zitto, di non sfidare la natura delle cose. Ma la natura delle cose non esiste, perché tutto, per natura, è senza regole. Siamo noi a stabilirle. E noi – continua – a pagarne le conseguenze».
Da qualche anno, grazie a un percorso di psicoterapia, Davide ha imparato a combattere i pregiudizi. «Ho dichiarato la mia omosessualità – racconta ancora all’Agi – quando avevo 18 anni. I miei non lo hanno accettato. Pensavano fossi ammalato e mi hanno praticamente costretto ad andare da uno psicologo ritenendo che fossi stato vittima di violenza. Ma è stato lo stesso terapeuta – aggiunge – a farmi capire che non avevo bisogno di cure semplicemente perché non sono ammalato».
Davide ha avuto un compagno, ma anche lui, spiega, pretendeva di cambiare il suo modo di essere: «Fidanzati sì – racconta – ma non ufficialmente. Ora vivo da solo, a 26 anni faccio la vita di un cinquantenne». Vorrebbe lasciare Catanzaro, «ma – precisa – non perché sia una città omofoba, semplicemente perché qui non c’è lavoro. Si può lavorare solo in nero – continua – 14 ore al giorno per 600 euro».
Per il suo impegno sociale, Davide è stato premiato come eccellenza calabrese a Gioia Tauro, nel Reggino. «Ho il sostegno dell’Arcigay di Reggio Calabria – dichiara – non mi sento solo, anche se la gente mi guarda in un certo modo se indosso una gonna. Ho anche subito aggressioni denunciate e refertate, ma la giustizia non ha fatto nulla per tutelarmi».
Il 30 luglio Davide sarà a Reggio per il Pride che si terrà nella città dello Stretto. «I tempi – sostiene – sono cambiati ma molti pregiudizi resistono e resisteranno fino a quando la società non sarà sensibilizzata. Occorre educare al rispetto nelle scuole, perché le famiglie non lo fanno. Non è che uno si alza la mattina e aggredisce un gay. Alla base di tutto c’è una mentalità». Catanzaro città omofoba? «Non lo penso – risponde Davide –. Io ho subito l’omofobia perché mi espongo, ma ci sono molti catanzaresi gay che non si dichiarano per paura di ripercussioni sul lavoro e sulla vita sociale». Programmi per l’immediato futuro? «Insieme con un giornalista – dice – scriverò un libro per raccontare la mia esperienza».
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