Trent’anni di carcere li ha chiesti per Francesco Grande Aracri, fratello del boss Nicolino, ritenuto alla guida della cosca di Cutro attiva in Emilia; e poi, altri 16 anni e 6 mesi di reclusione per suo figlio Paolo. Sono le pene più elevate che ieri la pubblico ministero della Dda di Bologna, Beatrice Ronchi, ha sollecitato per due dei 16 imputati coinvolti nel processo ordinario di primo grado scaturito dall’inchiesta Grimilde contro i “tentacoli” dei Grande Aracri a Brescello (primo Comune dell’Emilia-Romagna sciolto per mafia). Davanti al Tribunale di Reggio Emilia, al termine di due giorni di requisitoria, la pm ha proposto 16 condanne per oltre 123 anni di reclusione. «Francesco Grande Aracri è il vertice massimo della 'ndrangheta in Emilia e ne detta le strategie», aveva detto la rappresentante dell’accusa nel corso della sua discussione. Le indagini infatti, venute alla luce il 25 giugno 2019 con l’esecuzione di 16 arresti da parte della Polizia, hanno fatto luce sulle presunte «teste di legno» utilizzate dal clan per coprire gli affari illeciti, ma anche sulle estorsioni agli imprenditori, sulle truffe ed sui rapporti opachi tra la ‘ndrina di stampo cutrese con la politica.
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