Restano nelle mani dello Stato i beni mobili e immobili del valore di 8 milioni di euro confiscati alla famiglia Sarcone, gruppo di riferimento in Emilia della cosca Grande Aracri di Cutro. La Cassazione ha infatti dichiarato inammissibili i ricorsi dei fratelli Carmine, Gianluigi, Giuseppina Sarcone e Giuseppe Sarcone Grande, e di altri quattro familiari, contro il decreto della Corte d’Appello di Bologna che, il 13 aprile 2021, confermò i sigilli antimafia apposti al loro patrimonio disposti dal Tribunale di Reggio Emilia il 13 gennaio 2020. Si tratta di ricchezze che, per la gran parte, finirono sotto sequestro tra il 2014 e il 2018, alle quali si aggiunsero edifici e appartamenti dislocati tra Bibbiano (Reggio Emilia) e Cutro requisiti successivamente.
Contestualmente, gli ermellini hanno anche ribadito la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di cinque anni a carico di Gianluigi e Carmine Sarcone e Giuseppe Sarcone Grande, «in quanto soggetti con pericolosità appartenenti alla ’ndrangheta insediatasi in Emilia-Romagna sin dagli anni Ottanta del secolo scorso». Infatti, in uno dei tanti rivoli processuali nati dalla maxi inchiesta Aemilia che nel 2015 recise il radicamento del clan di Cutro sulle rive del Po, Gianluigi Sarcone è stato condannato in appello a 14 anni e 6 mesi di carcere, mentre a Carmine sono stati inflitti 9 anni di reclusione in attesa di un nuovo giudizio di secondo grado. Invece, su Giuseppe Sarcone Grande grava una richiesta di 20 anni di detenzione nell’ambito del procedimento di rito abbreviato scaturito dall’operazione Perseverance, che nel 2021 mise all’angolo le nuove leve della ’ndrina di matrice cutrese che s’era riorganizzata dopo gli arresti di Aemilia.
Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria
Caricamento commenti
Commenta la notizia