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Operazione Olimpo, l'affare del vino contraffatto dal clan di Tropea

Tra le tante frasi captate dagli inquirenti intercettando presunti capi e affiliati del clan La Rosa di Tropea una, in particolare, restituisce quella che i pm della Dda di Catanzaro nella recente inchiesta “Olimpo” definiscono la «dinamica della contraffazione». La frase è questa: «Se stasera ti bevi l'originale e domani ti bevi l'altro si capisce...io è da tanto che non ne bevo però la ricordavo...eh...si capisce...ahi voglia...». Lo diceva, alla fine di novembre del 2018, Tonino La Rosa, presunto capo della ‘ndrina di Tropea per cui è stato disposto il carcere. La Rosa parlava con Damian Fialek, che assieme a Gaetano Muscia (entrambi arrestati) si sarebbe occupato dell’affare reinvestendo, almeno stando all’ipotesi accusatoria, parte dei presunti «profitti derivanti dalle attività illecite praticate dai La Rosa» nell'acquisto di vini in varie parti d'Italia (si parla di Verona, della Puglia o di altre cantine in modo generico) in funzione di un successivo cambio di etichetta (perfezionato nella stessa Puglia e a Tropea) strumentale a rivenderlo come vino di qualità a Catania, Roma, Catanzaro, Pordenone, in Tunisia e, più in generale, all’estero.

In effetti alla frase citata Fialek rispondeva: «Gli metto l'etichetta (...) ci sono sei pedane (...) dovrebbe essere tutto bianco (...) sta finendo di etichettare». Muscia invece è stato intercettato mentre si accordava con un tropeano residente in Austria per la consegna di 20 pedane di vino a 30mila euro, sottolineando che per l’affare dovevano «ringraziare a quell'amico nostro di Tropea», cioè «a Tonino!».

Sarebbe stato in effetti lo stesso La Rosa, secondo i pm, a concertare con Muscia e Fialek «le modalità di distribuzione di ventotto pedane» di vino: venti in Austria, quattro in Sicilia, due a Roma e altre due ad attività locali. In un’altra conversazione captata a dicembre dello stesso anno La Rosa veniva ragguagliato da Fialek circa il fatto che le «cassette» fossero state vendute bene. E ai timori palesati dall'interlocutore per il pericolo di essere «scoperti» lo stesso specificava che “solo” 3mila bottiglie su 18mila commercializzate fossero «da truffare».

In altre conversazioni si parlava dello scarico e del deposito in un magazzino sicuro e Fialek a un certo punto si compiaceva del fatto che alcune pedane fossero senza etichette, così sarebbe stato più facile attaccarle successivamente scegliendo quelle più care con un guadagno stimato di 25-30 euro a cartone: «Due pedane di bianco, due pedane e mezzo di rosso sono praticamente senza etichette – diceva Fialek – quindi lui mi ha detto “guarda io ti do le etichette come vuoi tu”. Io sono andato, ho controllato vino, ho aperto le bottiglie... sono praticamente belle bottiglie, vino buono, perciò lui mi dà il vino bianco. Etichette del 2017... siamo a cavallo e vino rosso mi dà etichette, dice “scegliti l’etichetta più cara che ho, che te la do e te la incolli tu però... Scendiamo giù in garage e le incolliamo ... quando noi andiamo a vendere, 25-30 euro a cartone prendi».

Delle etichette parlava anche Muscia con un interlocutore pugliese a cui diceva: «Dietro l'etichetta...vedi che c'è scritto... “produzione Puglia Igp” (...) invece deve essere scritto “Vino di uva falanghina” capito?». Ma non sempre andava tutto liscio: è capitato anche che il titolare di un’impresa vibonese lamentasse il fatto che i propri clienti avessero notato la presenza di una «doppia etichetta» e dunque si riservasse di valutare l'acquisto di un’altra pedana. In risposta gli veniva fornita la seguente spiegazione: «Sono quelli che hanno premiato...i cartoni che hanno premiato e sei fortunato che ti sono capitati a te».

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