I lavoratori impegnati nella realizzazione del terzo megalotto della strada statale 106 tra Sibari e Roseto Capo Spulico hanno incrociato le braccia, questa mattina, in segno di solidarietà per la morte del collega Salvatore Cucè, l’operaio 33enne di Roccabernarda, nel Crotonese, deceduto in seguito all’esplosione avvenuta nel cantiere del terzo valico, nell’alessandrino, dove è rimasto ferito anche un altro operaio siciliano. I lavoratori di Feneal Uil e Fillea Cgil, allo stesso tempo, hanno avviato una raccolta fondi a favore della famiglia di Salvatore Cucè. «In Calabria le cifre delle morti bianche sono sempre in aumento rispetto agli anni precedenti, disegnando un quadro disastroso, non degno di una società civile» afferma il segretario generale Fillea Cgil Calabria, Simone Celebre. A proposito dello sciopero simbolico di oggi, il sindacalista spiega che «si tratta di un fermo non solo per ricordare Salvatore Cucè, che era tra l’altro un iscritto Fillea, ma anche tutti coloro che in questi anni hanno perso la vita sul posto di lavoro. Non è possibile morire mentre con fatica e sudore si cerca di portare il pane a casa». «Andremo fino in fondo - promette quindi Celebre - finchè non verrà fatta luce sulle eventuali responsabilità dell’incidente. E’ ora di lavorare a pieno regime - continua il segretario generale - e con tutti gli strumenti e i partner a disposizione, per la costruzione di una cultura della sicurezza» ritenendo ormai necessari «provvedimenti normativi fermi che non lascino scappatoie e contribuiscano a costruire un perimetro di certezze per chi lavora con grandi sacrifici personali e non solo nei cantieri». Salvatore Cucè, che era un "trasfertista", era partito dal suo comune, Roccabernarda, dove ha lasciato i genitori e due fratelli, per andare a lavorare al nord Italia. «Ci chiediamo - afferma in proposito Celebre - fino a quando ci saranno famiglie costrette a piangere figli, padri, fratelli spesso costretti ad andare fuori per lavorare. La sicurezza sul lavoro non è un optional, deve essere alla base di ogni cantiere. Invece, spesso ci troviamo a dovere constatare con il sangue che non è così. Ogni morte sul lavoro ci parla di famiglie spezzate, di vite interrotte»