Un bambino afghano di dodici anni ha perso la sua intera famiglia, durante il naufragio a Cutro (Crotone) del peschereccio proveniente dalla Turchia. Il disastro è avvenuto ieri, a circa cento metri dalle coste della Calabria, ed ha portato alla morte di almeno sessantadue persone, secondo le autorità italiane. Sergio di Dato, il responsabile del progetto della organizzazione non governativa "Medici senza frontiere" (Msf), ha riferito ai media che il piccolo ha perso nove parenti in totale, tra cui quattro fratelli, i genitori e altri tre familiari. Una squadra di operatori composta da un mediatore e una psicologa ha appena terminato la prima sessione di supporto psicologico presso il centro di Crotone.
Hanno gli occhi pieni di terrore, lo sguardo perso nel vuoto. I superstiti vagano sulla spiaggia fradici e impauriti, sul volto i segni dei colpi presi quando sono finiti tra le onde dopo che il barcone si è frantumato in mille pezzi. Non parlano; qualcuno urla tutta la sua disperazione.
I sopravvissuti e le loro storie drammatiche
Sono 81 quelli che si sono salvati dall’ennesima tragedia della disperazione e tra di loro ci sono una ventina di minori che sono stati portati, per accertamenti, nell’ospedale di Crotone. Quando i soccorritori sono arrivati sulla spiaggia di Cutro li hanno trovati che si aggiravano come fantasmi, molti erano ancora in acqua. Subito gli hanno dato le coperte termiche per evitare che andassero in ipotermia e che sono state poi sostituite da coperte più pesanti e da una bevanda calda.
Con i pullman i sopravvissuti sono stati trasferiti dalla spiaggia al Centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto: sono di varie nazionalità, vengono da Iraq, Iran, Afghanistan, Siria. Paesi martoriati da guerre e soprusi. Ma i loro racconti, fatti attraverso gli interpreti, sono tutti uguali e sono drammatici. «La mia sorellina - dice un ragazzo al mediatore che cerca di tranquillizzarlo - è andata giù nel mare. Era accanto a me e a un certo punto non l’ho vista più. Adesso è su, nel cielo».
Il dolore dei sopravvissuti e il supporto psicologico
Una volta capito di essere salvi, il dolore è esploso. Nel centro di accoglienza i naufraghi continuano a piangere senza parlare, accomunati nella disperazione e ancora avvolti nelle coperte dopo essersi finalmente liberati dei vestiti bagnati. In molti hanno ancora ferite sanguinanti sul volto, sulle mani e sulle gambe. Sulla schiena. Una donna con il naso fratturato continua disperatamente a gridare nome del figlio. Ma nessuno risponde e nessuno riesce a calmarla.
La stessa disperazione di due uomini, padre e zio, che sono usciti dall’acqua con un neonato tenuto il più in alto possibile sperando di salvarlo. Non ci sono riusciti. La Croce rossa, insieme al Comune di Crotone, ha attivato le squadre di assistenza psicologica sia per i sopravvissuti ospitati al Cara che per le persone ricoverate in ospedale. Un lavoro importante per dare conforto a persone che vivono una condizione di profondo dolore. È stato attivato anche un supporto psicologico anche per i soccorritori, che hanno dovuto recuperare decine di cadaveri in mare ed erano provati da un lavoro estenuante e doloroso
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