Litigi sorti per la fila dal medico, crediti da riscuotere e torti subiti. I cittadini di Petilia Policastro erano soliti rivolgersi a Nicola Comberiati, il 38enne ritenuto il reggente della cosca petilina, anziché alle forze dell’ordine per risolvere le controversie private. Lo ha scoperto la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro con l’operazione che, il 17 marzo scorso con l’esecuzione di sei arresti da parte dei carabinieri, ha disarticolato la presunta commistione tra il clan di Petilia, attivo anche a Cotronei, e un pezzo della sanità privata.
«Le persone del territorio – scrivono i pm Domenico Guarascio e Pasquale Mandolfino nella richiesta di misure cautelari avanzata al gip – si rivolgono a Comberiati (tra gli arrestati, nda) per ottenere soddisfazione alle proprie pretese interpersonali». E il figlio del boss carcerato Vincenzo Comberiati, detto Tummulune, a sua volta si mostrava sempre «disponibile a proteggere» i “clienti” al fine di evitare loro di percorrere «le vie della giustizia ordinaria, evidentemente ritenuta poco efficace». Tre gli episodi finiti sotto la lente dell’Arma. Il 15 marzo 2021 venne intercettata una telefonata tra Nicola Comberiati e una terza persona. Quest’ultima chiese all’ipotizzato capobastone di «dare una lezione» ad un ragazzo «colpevole di aver redarguito ingiustamente» sua moglie, rea di non aver rispettato il proprio turno dal medico. Comberiati: «E che c.... vuole questo? Adesso lo chiamo io che ho il numero», l’interlocutore: «E chiamalo... chiamalo», Comberiati: «Mo’ lo chiamo io».
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