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A Cutro è naufragata anche la speranza

La testimonianza di chi ha assistito i migranti sopravvissuti e i familiari delle vittime

«Ho pensato ai miei bambini. Mi sono sentita in dovere di non piangere davanti a loro. Ma poi mi chiudevo in una stanza e piangevo», racconta Marion Alvesdacruz. «Abbiamo cercato di tradurre il lutto», prova a spiegare a sua volta Salvatore Iozzo: «La loro sofferenza l’ho sentita sulla mia pelle».
Sono rimasti per più di un mese al fianco dei sopravvissuti o dei familiari delle vittime della strage del mare che si è consumata nelle acque di Steccato di Cutro 46 giorni fa. Salvatore e Marion sono due giovani mediatori culturali dell’associazione “Sabir” che è stata in prima linea nell’assistenza ai migranti scampati al naufragio del 26 febbraio scorso e nel supporto ai familiari delle vittime. Ventisette anni, laureato in mediazione linguistica interculturale all’Università di Bari, Salvatore è dal 2020 che collabora con l’associazione presieduta da Manuelita Scigliano che gestisce in via Pietro Raimondi, un’efficiente struttura di consulenza, ascolto e sostegno ai migranti. Anche Marion, di madre lingua francese ma a Crotone da 11 anni, lavora da mediatrice con l’associazione collegata alla Caritas diocesana. «Dal 2018», sottolinea la giovane donna che è sposata e madre di tre figli. L’essere madre, l’ha coinvolta emotivamente ancor più nel dramma che hanno vissuto i superstiti del naufragio ed i congiunti di chi non ce l’ha fatta. «È stato atroce quello che è accaduto», osserva Marion Alvesdacruz mentre si stringe le mani per trattenere il tremore causato dall’angoscia che le hanno provocato le mille storie di speranza e dolore ascoltate dai migranti che lei ha aiutato.
«Ci hanno raccontato di una speranza infranta», sottolinea Salvatore descrivendo lo stato d’animo degli scampati all’abbraccio mortale delle acque gelide dello Ionio ed il dolore dei parenti dei morti (arrivati a 93) e dei dispersi.

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