«Chiedo scusa anche al dottore Gratteri, anche se quelle parole non le ho mai dette, né per lui né per i suoi collaboratori». Sono le parole pronunciate durante il maxi processo Scott Rinascita dall’imprenditore Gianfranco Ferrante accusato dalla Dda di Catanzaro di essere contiguo al clan Mancuso. Così l’imputato ha voluto rispondere alle dichiarazioni che erano state rese nella stessa aula da Genesio Mangone che, indagato in un’altra inchiesta, ha reso dichiarazioni davanti ai pm catanzaresi. Il 58enne originario di Cariati ha sostenuto che durante un periodo di detenzione comune con Ferrante quest’ultimo gli avrebbe confidato i propositi di vendetta dei clan vibonesi nei confronti del procuratore Nicola Gratteri e del suo pool: «Al momento giusto faremo fare una brutta fine a Gratteri e ai suoi collaboratori perché noi siamo nati prima della legge e comandiamo noi. Non siamo finiti». Ferrante, sempre secondo le dichiarazioni di Mangone, parlando di un piano sventato per colpire Gratteri avrebbe aggiunto: «Se non lo hanno fatto loro lo facciamo noi. La ‘ndrangheta è nata prima della legge. In Calabria comandiamo noi come è sempre stato». Frasi agghiaccianti che però Ferrante ha voluto smentire: «Signor Presidente - ha detto intervenendo durante l’udienza del maxi processo - io quelle parole non le ho mai pronunciate, né la persona del dottore Gratteri, né dei suoi collaboratori. Quindi, disconosco personalmente quelle parole. Non ho mai parlato di ‘ndrangheta. Nella mia vita ho sempre lavorato. Quindi, signor presidente, (Mangone, ndr) è solo un bugiardo e falso». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro