Gli investigatori della Squadra Mobile e i magistrati della Dda di Catanzaro sono riusciti a indicare il momento esatto in cui le mire autonomiste del boss emergente Massimo Bevilacqua detto U Malloscio hanno preso le forme di un piano concreto e dettagliato. È il 6 marzo 2019 quando il capo illustra al suo luogotenente la strategia per “staccarsi” dal controllo delle cosche di Isola Capo Rizzuto. Tutto registrato dall’ambientale che gli inquirenti erano riusciti a piazzare nella macchina di Ernesto Bevacqua noto come U Giappone. Al centro del colloquio c’è proprio il mancato rispetto dei patti da parte degli “isolitani” che avrebbero tardato a corrispondere le percentuali delle estorsioni alla criminalità rom. U Malloscio decide così di mandare ai casati della ‘ndrangheta crotonese un messaggio ben preciso: compiere una serie di atti intimidatori in tutti i cantieri della zona per attirare l’attenzione delle ‘ndrine. «Devono venire», urla il boss, «in questa maniera volete fare il trattato, in questa maniera voi?… Ma avete questo vizio qua voi? Allora se avete questo vizio qua, voi guardatevelo voi queste cose che a me non interessa…». Pochi giorni dopo l’aspirante boss e il suo luogotenente confermano la scelta di agire in completa autonomia. La strada è tracciata tanto che U Malloscio racconta di aver rifiutato di incontrare un emissario dei clan isolitani. «Ce ne fottiamo di loro». Massimo Bevilacqua dice senza giri di parole che da quel momento gli imprenditori catanzaresi, già sotto estorsione delle cosche isolitane, dovranno passare sotto il controllo del loro clan. La strategia è semplice: minacce, furti e intimidazioni per costringere gli imprenditori a parlare direttamente con Bevilacqua altrimenti non avrebbero più potuto lavorare su Catanzaro. «Allora - ordina il boss a U Giappone - mi lasci l’imbasciata e gli dici di venire qua a parlare con me… Se no qua non lavorate più». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro