Diciotto condanne diventate definitive e nuovo processo d’appello per altri sei imputati. Sono questi i numeri della sentenza con la quale la Cassazione, martedì sera, ha messo il primo sigillo sul procedimento di rito abbreviato nato dall'inchiesta “Grimilde” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna. Si tratta dell’operazione che, venuta alla luce il 25 giugno 2019 con 16 arresti eseguiti dalla Polizia, sulla scia del blitz “Aemilia” del 2015 diede un altro duro colpo alla cellula dei Grande Aracri di Cutro autonoma e attiva tra Brescello, Parma e Piacenza. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso della Procura generale, ha disposto un nuovo giudizio di secondo grado per Salvatore Grande Aracri, il nipote del boss Nicolino ritenuto il referente del clan in Emilia, che il 16 giugno 2022 venne condannato in secondo grado a 14 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa. Insieme a Salvatore Grande Aracri, detto “calamaro”, su istanza della Pg dovranno ricomparire davanti alla Corte d'Appello di Bologna anche i fratelli Cesare Muto (in secondo grado pena di 2 anni e 8 mesi) e Antonio Muto (2 anni e 10 mesi). Mentre è scattata l'irrevocabilità della pena comminata a Giuseppe Caruso, l'ex presidente del Consiglio comunale di Piacenza che dovrà scontare 12 anni e 2 mesi. Allo stesso modo, ha retto la ricostruzione degli inquirenti relativa all'affare Oppido su una truffa di oltre 2 milioni di euro ai danni dello Stato. Nelle motivazioni della pronuncia di secondo grado, i giudici stabilirono che i vertici ed i fiancheggiatori della 'ndrina di matrice cutrese operanti in Emilia erano stati in grado di sprigionare la loro «la vocazione affaristica» nel comune raccontato dalla penna di Giovannino Guareschi, ribattezzato “Cutrello”. «Sicuramente – avevano scritto nelle motivazioni della sentenza – le discoteche rivestivano un ruolo fondamentale nell’economia e nella vita della cosca». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro