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'Ndrangheta, inchiesta "Glicine-Acheronte". A Lamezia l’"intermediario" dei clan per le slot

Tra gli indagati c’è anche Antonio Pagliuso, già condannato in “Droga parlata”. A lui si è rivolto un uomo legato ai “Papaniciari” per espandersi con il gioco online

C’è anche un nome noto alle cronache lametine tra le 123 persone indagate nell’inchiesta “Glicine Acheronte” che, nei giorni scorsi, ha colpito le cosche del Crotonese e coinvolto un presunto comitato d’affari che avrebbe allungato la sua influenza sui palazzi della Regione. Si tratta di Antonio Pagliuso, 34enne di Sambiase che proprio una settimana fa, all’esito di un altro procedimento (“Droga parlata”, sullo spaccio nei luoghi della movida) è stato condannato in primo grado a 17 anni e 9 mesi di reclusione. In “Glicine Acheronte” Pagliuso è solo indagato: il gip non ha emesso misure cautelari nei suoi confronti e, anzi, ha rigettato la richiesta della Dda di Catanzaro di disporre per lui il divieto di dimora in Calabria. È però significativo ciò che i pm antimafia hanno riportato nel capitolo che riguarda le accuse che gli vengono contestate assieme, tra gli altri, a Domenico Megna, ritenuto il boss di Papanice, e Roberto Lumare (che, come Megna, è finito in carcere). Stando alle ipotesi della Dda, Pagliuso avrebbe dovuto fornire «il giusto appoggio al Lumare per potersi espandere nel settore del gaming sul comprensorio lametino potendo vantare delle conoscenze in ragione dello spessore criminale di suo zio, Cadorna Felice (pluripregiudicato per associazione a delinquere di tipo mafioso, traffico di droga ed altro)». Cadorna, alias “zio Tonino” non è coinvolto in questa inchiesta e il suo nome era citato anche in “Droga parlata”, ma il gip escluse per lui la gravità indiziaria.

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