«Aveva piena conoscenza delle sue azioni», per il professore Pietrantonio Ricci, perito della Corte d’Assise di Catanzaro, non ci sono dubbi: Sergio Giana era capace di intendere e volere quando uccise Loredana Scalone, 52enne, con ventotto coltellate il 23 novembre 2020 in località Pietragrande. Nell’ultima udienza del processo è stata depositata la perizia sul 37enne di Badolato. L’imputato viene ritenuto capace di intendere e di volere e nella piena capacità di partecipare coscientemente al processo, «non essendo affetto da patologie psichiatriche tali da influire negativamente sulla sua capacità di giudizio. Come perito - è scritto nella relazione di Ricci - posso affermare che l’imputato non è allo stato da considerarsi soggetto socialmente pericoloso». «Giana - spiega il perito - il 23 novembre 2020 non manifestava alcuna infermità di tipo psichico e quindi non venivano inficiate le funzioni dell’io, aveva piena conoscenza delle sue azioni, tanto da rendersi conto di dover prendere dei provvedimenti in seguito all’evento delittuoso. In altri termini, i disturbi di natura psichiatrica presenti nella storia clinica dell’imputato non sono tali da poter raggiungere quella soglia di malattia medico- legale sufficiente per dimostrare l’assoluta o parziale incapacità di intendere e di volere al momento del delitto che deve inquadrarsi nella tipologia degli omicidi a sfondo passionale». A dimostrare la consapevolezza del gesto ci sono le dichiarazioni proprio di Giana rilasciate agli inquirenti il giorno dopo l’omicidio.
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