Estorsioni, rapine, furti, danneggiamenti, atti intimidatori, lesioni personali, uso di armi detenute illegalmente e illeciti fiscali. Così il ramo scaligero della cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto - tra il 2006 e 2020 - avrebbe messo le mani su Verona. Lo sostengono i sostituti procuratori della Dda di Venezia, Lucia D’Alessandro e Stefano Buccini, nell'avviso di conclusione indagini che è stato fatto recapitare a 43 persone. Si tratta di un nuovo troncone d’inchiesta scaturito dall’operazione “Isola scaligera” del 2020 che, nei mesi scorsi, ha portato a diverse condanne a carico dei presunti vertici e fiancheggiatori del gruppo ’ndranghetistico operante nel Veronese, autonomo ma pur sempre legato alla casa madre di Isola Capo Rizzuto. Su tutti, sotto accusa sono finiti Rosario Capicchiano e Alfonso Giardino (51enne) che secondo i pubblici ministeri sarebbero stati i «promotori» e gli «organizzatori» del “locale” di Verona. Capicchiano, per la Procura antimafia di Venezia, avrebbe «promosso e coordinato la commissione di molteplici reati», tra cui le estorsioni, facendo ricorso anche all’uso delle armi. Mentre a Giardino viene contestato di essersi occupato delle «attività economiche del sodalizio» e della «situazione giudiziaria dei sodali», oltre che di aver proposto «incontri strategici» mirati sia a risolvere le «controversie» che sorgevano dentro il clan, sia a «rinsaldare i legami» tra i componenti della stessa associazione mafiosa. Tra le storie criminali messe nero su bianco dagli inquirenti, figura la rapina che avvenne nel 2008 ai danni di un circolo privato di Verona, oppure i 105 mila euro estorti a colpi di fucile calibro 12 e danneggiamenti vari ad un imprenditore di Lugagnano di Sona come corrispettivo di un favore che questi – nel 2015 - aveva ricevuto dai capi della ’ndrina. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro