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Inchiesta “Garbino”, intimidazioni e minacce a chi «mancava di rispetto» al clan Maesano-Pullano di Isola Capo Rizzuto

Il mancato «doveroso rispetto», «un'offesa» subita oppure una sanzione amministrativa erano tutti pretesti per dare una lezione ai "trasgressori". Il clan Maesano-Pullano di Isola Capo Rizzuto era «in grado» di «pianificare azioni ritorsive verso tutti coloro che avevano posto in essere comportamenti che potevano, o avrebbero potuto, rappresentare un ostacolo al conseguimento dei fini dei singoli associati». Lo avrebbe accertato la Dda di Catanzaro con l'operazione "Garbino" che lo scorso martedì ha portato i poliziotti delle Squadre mobili di Crotone e Catanzaro ad eseguire 11 fermi (convalidati dal gip) nei confronti dei presunti vertici e sodali del gruppo criminale. E così, tra i blitz violenti che erano prossimi ad essere messi a segno, i pm Paolo Sirleo, Domenico Guarascio e Pasquale Mandolfino annotano quello programmato a novembre 2020 contro un agente della Polizia locale di Isola Capo Rizzuto. Il quale, finì nella "lista nera" del clan perché aveva effettuato un controllo amministrativo su un immobile abusivo che ne avrebbe comportato la demolizione. «Questo è un bastardo e un cornuto proprio a lui dicendo e tutta la razza», lamentava il 13 novembre 2020 un certo Mimmo, il titolare del fabbricato irregolare, parlando con Pietro Fiore Pullano e Fiorello Maesano che vennero investiti della vicenda al fine di punire il vigile urbano. «Gli rompiamo il vetro davanti», concordava Pullano ipotizzando il danneggiamento della vettura dell'agente. Da qui l’organizzazione della ritorsione che venne scongiurata solo perché gli inquirenti, accorgendosi del pericolo imminente attraverso le intercettazioni, organizzarono «un servizio straordinario di controllo del territorio» che fece desistere gli aggressori. Ma non solo. A dicembre 2020, gli investigatori captarono alcuni degli indagati mentre progettavano un’azione armata contro un commerciante d'abbigliamento di Isola Capo Rizzuto. Il motivo? L'esercente, spiegano i magistrati nel provvedimento di fermo, «in più occasioni e per il proprio tornaconto» aveva «“speso” il nome del “gruppo Pullano”, evidentemente per garantirsi la necessaria tranquillità ambientale per lo svolgimento della sua attività commerciale».

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