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’Ndrangheta nel Crotonese, armi e narcotraffico. Alla sbarra in appello 47 imputati

L’inchiesta “Golgota” contro le nuove leve degli Arena di Isola e un ramo dei Mannolo di Cutro. In primo grado inflitte condanne per più di 4 secoli di carcere

Al via il prossimo 14 novembre il processo di secondo grado nato dall’inchiesta “Golgota” coordinata dalla Dda di Catanzaro. Davanti alla Corte d’Appello compariranno i 47 imputati che il 28 ottobre 2022 sono stati giudicati col rito abbreviato e condannati a complessivi 427 anni di carcere. L’operazione, scattata il 10 febbraio 2021 con 36 arresti eseguiti dalla Squadra mobile di Crotone, disarticolò le nuove leve della cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto capeggiata da Salvatore Arena, detto “caporale“, ed il ceppo “pecorari” dei Mannolo di San Leonardo di Cutro, che avrebbero gestito e controllato il traffico di stupefacenti.

Le indagini, sulla scia dei blitz “Jonny” del 2017 e “Tisifone” del 2018, misero sotto scacco il «mutato assetto» degli Arena-Nicoscia, scrisse lo scorso 14 aprile la giudice per le udienze preliminari di Catanzaro, Chiara Esposito, nelle motivazioni della sentenza. Per poi aggiungere: che il clan s’era riorganizzato sia dopo la «carcerazione» di coloro «che negli anni hanno occupato un ruolo apicale» all’interno del gruppo criminale, sia per «un naturale ricambio generazionale» col «vertice» che sarebbe rimasto nelle mani dei «discendenti del vecchio capostipite Nicola Arena del 1937» deceduto nel 2022. Tra le «storie criminali» finite al centro dell’attività investigativa figura il commercio di cocaina che Santo Claudio Papaleo avrebbe messo in piedi dal 2018 in seguito alla rottura col gruppo di narcotrafficanti guidato da Antonio Astorino. Lo smercio della droga avrebbe avuto come «base operativa» un noto bar di Le Castella.
Ma fiumi di cocaina, eroina e marijuana sarebbero stati riversati per anni nelle piazze di spaccio di mezza Italia anche dal ramo “pecorari” del clan Mannolo di San Leonardo. Il quale, per gli inquirenti, si sarebbe rifornito di armi e munizioni tenuti nascosti in luoghi sorvegliati. Inoltre, la Procura antimafia avrebbe fatto luce pure sull’acquisto all’asta per 50 mila euro da parte di Martino Tarasi, avvenuta a luglio 2018, di quattro immobili a Steccato di Cutro appartenenti a Salvatore Cappa. Quell’investimento, è la tesi accusatoria, avrebbe assicurato a “Turuzzu” di ritornare nella titolarità delle villette una volta uscito di prigione.

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