Inizierà il prossimo 24 gennaio davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro il processo di secondo grado a carico di Nicolò Passalacqua. Il 23enne di Colleferro il 21 aprile scorso è stato condannato col rito abbreviato a 20 anni e 4 mesi di carcere per tentato omicidio pluriaggravato perché, la sera dell’11 agosto 2022, ridusse in fin di vita Davide Ferrerio, bolognese di 22 anni, mentre si trovava in vacanza a Crotone. Un’aggressione che - come si ricorderà - fu causata da un errore di persona in quanto il vero obbiettivo del pestaggio era il reale corteggiatore della ragazzina (all'epoca dei fatti minorenne) della quale Passalacqua s’era invaghito.
Al centro del dibattimento ci sarà la «condotta» dell’imputato. Che, come ha stabilito la giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Crotone Elvezia Cordasco, era «diretta in modo inequivoco a cagionare la morte» della vittima. «Se Passalacqua – si legge infatti nelle motivazioni della sentenza – avesse voluto solo intimidire Ferrerio o tutt’al più ferirlo non lo avrebbe colpito con un pugno al cranio e con una ginocchiata dello sterno, punti questi del corpo umano che se colpiti determinano un’elevata potenzialità di verificazione dell’evento morte».
Diversa la valutazione messa nero su bianco dal difensore del 23enne, l'avvocato Salvatore Iannone, nel ricorso presentato contro la pronuncia di condanna. Passalacqua, è scritto nel reclamo, non era intenzionato a «causare la morte» di Ferrerio bensì di «percuotere» il malcapitato, «ritenuto erroneamente» colui «che scambiava messaggi» con la giovane per «fargli comprendere che la ragazza non avrebbe dovuto essere “toccata” in quanto le “apparteneva”».
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