Da un lato ci sono «i contatti ramificati ed estesi e la capacità di infiltrarsi fraudolentemente nel sistema economico» rimasti intatti «nonostante i decreti interdittivi antimafia emessi dalle Prefetture» che «danno conto della pericolosità sociale» di Giuseppe Todaro, 37 anni, e di suo padre Raffaele di 61, originari di Cutro. Una riprova dei «legami criminali» che entrambi avrebbero intrattenuto nel Mantovano dopo il terremoto del 2012. Dall'altro «la perdita della qualità di pubblico ufficiale da parte di Giuseppe Todaro» che non è servita a recidere sia «il rapporto organico» tra il 37enne e gli uffici comunali, sia il «potere di influenza» che lo stesso avrebbe esercitato sulla gestione degli appalti pubblici post sisma attraverso l’«uso fraudolento degli strumenti a disposizione».
Ecco spiegati i motivi per i quali la Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibili i ricorsi presentati dalla difesa degli accusati, ha confermato la misura cautelare in carcere per Giuseppe e Raffaele Todaro. Ambedue sono imputati (con altre quattro persone) davanti al giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Brescia nel procedimento di rito abbreviato scaturito dall'inchiesta "Sisma" coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia bresciana. Si tratta dell'operazione che, scattata lo scorso 10 gennaio con 10 arresti eseguiti dai carabinieri, ha fatto luce sulla presunta reviviscenza della cosca Dragone-Ciampà di Cutro che sarebbe stata in grado di mettere le mani sui lavori affidati dopo il sisma che colpì la provincia di Mantova. Sotto la lente dei pubblici ministeri, Francesco Prete e Claudia Moregola, sono finiti Giuseppe e Raffaele Todaro (che sposò la figlia del boss Totò Dragone di Cutro, assassinato il 10 maggio 2004 per volere del clan rivale dei Grande Aracri).
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