«Il miglior attore napoletano della sua generazione», un riconoscimento di valore assoluto conferito dalla critica a Geppy Gleijeses, che nella sua carriera ha dimostrato quanto è grande il suo amore per il teatro. Allievo prediletto di Eduardo De Filippo, ha intrapreso da giovanissimo il percorso di capocomico, attore e regista che, attualmente, lo rende tra le figure di spicco del nostro teatro. A Lamezia Terme (stasera) e Catanzaro (domani) – ma anche al Teatro Vittorio Emanuele di Messina dal 16 al 18 febbraio prossimi – sarà protagonista di uno dei più bei lavori dello stesso De Filippo, «Uomo e galantuomo», del quale parla in maniera entusiastica.
Cosa ti ha spinto a mettere in scena questo lavoro?
«Questo è il settimo lavoro di Eduardo che ho portato sul palcoscenico. “Uomo e Galantuomo” è la prima commedia vera e propria scritta da Eduardo, in tre atti, all’età di 22 anni. Io la paragono a una sinfonia di Beethoven perché è un piccolo capolavoro. L’abbiamo rappresentata l’anno scorso a Roma e Firenze, ottenendo un grande successo. In un servizio del TG3 della RAI è stato detto che “si ride a crepapelle”. In effetti è uno spettacolo molto divertente, la gente ride molto nel primo atto e poi continua anche nel secondo e nel terzo. È una grande gioia metterlo in scena con la mia Compagnia formata da 11 attori».
È vero che più volte hai rifiutato le proposte di lavoro di Eduardo?
«Gli dissi di no per tre volte. Una a lui, una a suo figlio Luca e l’ultima volta a un attore della sua Compagnia. Il motivo di questo rifiuto fu la ferma volontà di mio padre, all’epoca avvocato al Comune e professore universitario, il quale voleva che io mi laureassi in Giurisprudenza».
Spesso Eduardo viene descritto come un uomo dal carattere “difficile”.
«Non sono d’accordo quando leggo che la stampa lo definisce “il cattivo Eduardo”. Io da lui ho ricevuto solo del bene, una dolcezza infinita e tanta stima. Lui credeva in quel giovane che stava portando avanti un discorso sul teatro napoletano di qualità, si fidava di me. Da quel momento diventai il più giovane capo comico d’Italia».
Un ruolo che hai svolto sin dagli inizi della tua carriera.
«Sono capocomico da molto tempo, come Glauco Mauri e Umberto Orsini che, però, hanno aperto la loro società di produzione dopo essere stati attori e registi per molti anni. Io, invece, lo sono dal 1980 senza aver mai interrotto la mia attività e scritturando altri registi. Sono stato io a portare in teatro Mario Monicelli per la prima volta. Con lui ho fatto tre spettacoli. Dopo ho portato in teatro anche Liliana Cavani con cui l’anno prossimo faremo un altro spettacolo insieme».
In «Uomo e Galantuomo» al tuo fianco c’è Lorenzo, quanto è difficile lavorare con il proprio figlio?
«Devo dire che ho un figlio che mi dà molte soddisfazioni. È cresciuto con me e, all’età di 9 anni, era uno dei Cardelli di Liolà. Ad un certo punto decise di andare in Danimarca da Eugenio Barba, il più grande ricercatore vivente di teatro sperimentale. Con lui ha imparato altre tecniche recitative con l’uso del corpo straordinario. Dopo essersi arricchito con queste varie esperienze, è tornato in Italia per fare spettacoli con me e per suo conto».
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