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Lunedì 07 Ottobre 2024

'Ndrangheta, il Gup di Milano non riconosce l'associazione mafiosa a Luigi Aquilano genero del boss Mancuso

Anche un «affiliato» alla 'ndrangheta in Calabria, «soprattutto in un territorio vasto e pieno di "occasioni" illecite come Milano» può «commettere reati "generici", in particolare, come nel caso in esame, nel campo dello spaccio delle sostanze stupefacenti, autonomamente e per un diretto interesse personale». Lo scrive il gup di Milano Guido Salvini nelle motivazioni della sentenza con cui, il 15 settembre scorso, ha condannato a 12 anni di reclusione Luigi Aquilano, genero del boss Antonio Mancuso, vertice della cosca della 'ndrangheta di Limbadi (Vibo Valentia), per narcotraffico ed estorsioni con l’aggravante del metodo mafioso, ma non riconoscendo, invece, l’imputazione di associazione mafiosa per lui ed altri imputati, come era stata contestata dal pm Alessandra Cerreti. Accusa che era caduta, tra l'altro, anche nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Lidia Castellucci. Aquilano era finito in carcere a fine luglio 2022 in un’inchiesta della Dda di Milano su narcotraffico ed estorsioni, come «recupero crediti», con presunti legami coi clan. E' "estremamente probabile, pressoché certo, che Luigi Aquilano e altri soggetti", scrive il gup, «che compaiono nel processo, siano stati, quando vivevano in Calabria, affiliati alla 'ndrangheta con le modalità previste da tale associazione criminale». Tuttavia, Aquilano a Milano si muoveva, in pratica, da solo «secondo necessità e non in base ad una programmazione diretta e concordata con una realtà mafiosa sovrastante chiamata a dare la sua autorizzazione».

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