Gli sbarchi dei migranti sono ripresi. E con essi è ripartita la macchina dell’accoglienza. Accanto ai volontari della Prociv, della Croce rossa e di tanti altri uomini e donne pronti a dare tutto senza avere nulla in cambio, dietro l’approdo dei disperati sulle coste vibonesi, c’è un business tutt’altro che trascurabile. Un business che per anni ha trovato il fulcro nei centri di accoglienza, vero e proprio terminale, talvolta, di quella speculazione dettata dai quattrini che il Viminale mette a disposizione. Ma non soltanto. Dietro gli sbarchi dei disperati, vivi o morti che siano, c’è una vera e propria speculazione tra la necessità di ricollocarli e quella di trattare le salme che puntualmente, purtroppo arrivano a riva a bordo delle Ong. Ultime in ordine di tempo, le quattro giunte a Vibo Marina, domenica scorsa, con la Sea-eye, dalla quale sono scese pure 48 persone vive, già ripartite alla volta dei centri di accoglienza di Umbria e Molise. E non è questo il male peggiore. Se si pensa che del business dei migranti si parla nelle pagine delle ordinanze di custodia cautelare delle più significative inchieste anti ’ndrangheta. È accaduto già in passato e potrebbe ripetersi. Sulle tumulazioni nel cimitero di Bivona, nel periodo pre-Covid, prima che gli sbarchi venissero interrotti, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro aveva acceso i riflettori, ad esempio, sui compensi di un’azienda che avrebbe incassato molto più di quanto avesse speso contestando al titolare l’ipotesi di reato di frode delle pubbliche forniture. Ed il business dei migranti è tornato d’attuale all’atto dell’inchiesta “Maestrale-Carthago”, con una nota professionista posta agli arresti domiciliari e poi scarcerata, con l’ipotesi accusatoria di truffa aggravata dalle modalità mafiose. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro