Gli arresti scattati con l’operazione “Stige” del 2018 non avevano placato gli appetiti della cosca Farao-Marincola di Cirò. Perché il clan - attraverso i giovani rampolli - avrebbe continuato a dettare legge a colpi di estorsioni e intimidazioni non solo nel Cirotano, ma anche nei territori limitrofi della provincia di Cosenza come Cariati. È lo scenario criminale delineato dai pm della Dda di Catanzaro, Domenico Guarascio, Paolo Sirleo e Pasquale Mandolfino, nella richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei confronti delle 35 persone coinvolte nell'inchiesta "Ultimo atto". L’udienza preliminare è in programma l’11 gennaio davanti alla gup del Tribunale di Catanzaro, Sara Mazzotta. Il blitz, scattato lo scorso 16 febbraio con 31 arresti eseguiti dai carabinieri, mise all'angolo i «veterani liberi» e le «nuove leve» del "locale" di 'ndrangheta di Cirò che avevano preso in mano l'organizzazione criminale con i capi in carcere: Giuseppe Farao, Silvio Farao e Cataldo Marincola. Per Cirò, tra le vecchie conoscenze del clan i pm annoverano Luigi Vasamì, in qualità di reggente, affiancato da Giuseppe Romano, Giuseppe Cariati, Francesco Amantea e Gianluca Scigliano. A Cirò Marina, figura Cataldo Cornicello come referente della cosca. Cornicello, secondo gli inquirenti, da faccendiere di Giuseppe Spagnolo, detto “U banditu”, dopo l’arresto di quest’ultimo avrebbe «rapidamente scalato la gerarchia criminale» al punto da diventare la personalità «più rappresentativa dell’organizzazione cirotana». Mentre tra i “rampolli” del clan, i magistrati indicano Luca Frustillo, Vincenzo Affatato, Davide Critelli e Gianfranco Musacchio. Invece, a Strongoli il clan avrebbe allungato i “tentacoli” attraverso Luigi Lettieri e Gaetano Mammolenti. Ma l'attività investigativa avrebbe anche dimostrato il controllo che il sodalizio di 'ndrangheta avrebbe esercitato sui porti di Cirò Marina e Cariati. Dove le «nuove leve», è la tesi accusatoria, avrebbero preteso il pescato migliore a prezzi imposti ai pescatori che si ritrovavano costretti a sottostare alle richieste dei loro aguzzini. Inoltre, tra le carte dell'indagine ci sono pure gli ipotizzati favori che Giuseppe Greco e Nicola Squillace, funzionari del settore tecnico del Comune di Melissa, avrebbero assicurato - nel 2017 - alle ditte "Movitras di Perri Mario" e “Azienda agricola di Francesco Falbo”, ritenute dagli inquirenti vicine alla ‘ndrina di Strongoli, affidando loro i lavori di riqualificazione dei torrenti di Torre Melissa con il frazionamento – illecito - dell'appalto. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria