Non solo usura ed estorsioni ai danni dei villaggi turisti della costa ionica crotonese e catanzarese. La cosca Mannolo-Trapasso-Zoffreo-Falcone di San Leonardo di Cutro esercitava un «controllo assoluto» del «mercato degli stupefacenti», soprattutto cocaina ed eroina, al punto che «non era tollerata alcuna autonomia sul territorio». Così la Corte d’Appello di Catanzaro descrive il maggiore business dei “sanleonardesi”. Lo fa nelle motivazioni della sentenza con la quale, lo scorso 15 maggio, ha inflitto 31 condanne e assolto 11 imputati al termine del secondo grado di giudizio di rito abbreviato scaturito dalle inchieste unificate Malapianta e Infectio coordinate dalla Dda. Entrambe le operazioni, messe a segno tra maggio e dicembre 2019 da Guardia di finanza e Polizia di Stato lungo l’asse San Leonardo di Cutro-Umbria, smantellarono la locale di ’ndrangheta capeggiata dal presunto boss, Alfonso Mannolo, che avrebbe allungato i “tentacoli” fino a Perugia. Come ricostruito dal collegio, i Mannolo erano soliti utilizzare i proventi del narcotraffico sia per «l’acquisto» dei regali da destinare ai «rappresentanti» degli altri gruppi criminali in occasione delle festività, sia per «il mantenimento dei detenuti». Inoltre, a riprova che il «traffico degli stupefacenti fosse una delle principali fonti finanziamento» del clan, i giudici citano il rimprovero che Alfonso Mannolo (condannato a 30 anni di carcere nell’appello di rito ordinario di Malapianta-Infectio) fece al fratello Mario Mannolo (per lui 19 anni e 3 mesi nell’appello di rito abbreviato) per il «sequestro di una partita di cocaina» avvenuto il 5 maggio 2018, in quanto seguì un altro sequestro di stupefacenti verificatosi qualche giorno prima. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria